Facebook Twitter Youtube Feed RSS

“Recidiva Zero”. Le attività svolte in carcere

26/05/2016 7:54

Sala Argento al Salone del libro. Bruno Mellano, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte, presenta Carlo Turco e  Bruno Vallepiana, i registi del docufilm “Recidiva Zero”. Le attività svolte in carcere sono importanti per ridurre la tendenza a reiterare il reato da parte dei detenuti. Il film intende creare sensibilità, affrontare il problema. Partono i 37 minuti di video: la recidiva nel detenuto che sconta in galera fino all’ultimo giorno è quantificata al 70%. Senza mezzi termini, si parla di sconfitta, di fallimento; invece, le persone inserite in qualche progetto di attività formativa, hanno una recidiva del 15, 20%. “Scommettere sulla persona” è il messaggio dell’art. 27 che viene letto da alcuni studenti: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.  Roby ci parla del laboratorio musicale, «vogliamo far capire alle persone che abbiamo fatto degli sbagli e cerchiamo di recuperarli». Per Mellano, il carcere deve essere residuale, rappresentare un’ “extrema ratio”. Le comunità penitenziali sono parti della società su cui investire beni per costruire progetti. Enrico Borello insegna nel carcere di Fossano all’interno del laboratorio di saldocarpenteria, «la reciproca fiducia bisogna conquistarsela»; si commuove dietro i suoi occhiali, «è diventata la mia vita, non posso fare a meno dei miei ragazzi. Ognuno si porta dietro una storia». Rossella Scotta insegna lettere all’Istituto Soleri Bertoni di Saluzzo, «il sistema carcerario fa capo al sorvegliare e punire, l’obiettivo della scuola è istruire ed educare»; racconta che ha coinvolto trecento ragazzi nell’attività col carcere, «prima entrano per curiosità, poi cominciano a superare il pregiudizio». Per Andrea, «l’esperienza scolastica in carcere è l’unico momento di normalità vera». La professoressa ricorda Arricchiscono il video i pareri di alcuni esperti. Zagrebelsky nota che non c’è interesse elettorale sulla questione, semmai l’interesse opposto di cavalcare la paura. Il  vero guadagno è reintegrare la persona nella vita sociale. La delega, l’indifferenza costituiscono per don Ciotti una malattia mortale. Occorre costruire dei percorsi, toccare con mano che è possibile cambiare vita, «la relazione è l’unità di misura dei rapporti umani». «In passato ho sbagliato, mi sono assunto la mia responsabilità», dice Edwin; Jimmy con la sua chitarra «non si sente in carcere in quelle due ore» di prove. «La musica è una forma di comunicazione, in tempi brevi ti avvii al cuore di una persona senza filtri», sostiene Marco Biaritz docente del laboratorio musicale. Concludono Monica Gallo e Sara Battaglino del “Fumne lab”, « occorre veicolare in modo costruttivo l’estrosità, la rabbia, la paura», «non restare in cella a guardare il soffitto, portare lavoro all’interno del carcere».

Piergiacomo Oderda

Commenti