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Dal cyber bullismo alla ricerca del bene. Settimana della scuola

19/10/2017 20:29
«La settimana della scuola deve creare un circolo virtuoso, non virtuale, tra adulti e ragazzi». Don Domenico Ricca, educatore, cappellano al Ferrante Aporti di Torino, di fronte a quattrocento giovani dai 14 ai 16 anni, definisce l’obiettivo di un’iniziativa voluta dal vescovo Nosiglia «perché diverse scuole si uniscano per approfondire il tema». Quest’anno si declina il “sapere”, la cultura con il “fare”, le competenze, con il “bene”, possibilmente comune, imparando a «saper fare squadra, ad unirsi». L’incontro si svolge nell’auditorium della Piccola Casa della Provvidenza in via Cottolengo a Torino, luogo dove «”welfare” significa promuovere le persone per renderle autonome e dare un contributo alla società».
Don Andrea Bonsignori, Rettore della Scuola Cottolengo, è stato convocato d’urgenza presso il Consiglio dei Ministri e tocca a Sabrina Guarato fare gli onori di casa e raccontare “il sogno” di san Giuseppe Cottolengo, «non relegare in un angolino i più poveri ma renderli fulcro trainante, li chiamava “le mie perle”». La scuola ha fatto nascere cooperative «per dare lavoro ai ragazzi disabili. Cerchiamo di vedere le loro abilità». Giuseppe, operatore della cooperativa “Il Chicco Cotto”, memorizza velocemente, «guarda la macchinetta che eroga le merendine, ti sa dire quante acque o “snack” manchino, sa andare in dispensa e ripristinare il servizio. Da quando la scuola Cottolengo accoglie i disabili ne hanno beneficiato tutti», sia per l’acquisizione di competenze sia per la capacità di «relazionarsi con qualsiasi forma di diversità».
Assunta Esposito è Vicequestore aggiunto del compartimento di Polizia Postale, si occupa di «reati informatici, connessi all’utilizzo di strumenti informatici». Nel cyber bullismo, lo schermo «consente di nascondere la propria identità». Si è convinti di non essere scoperti ma si lasciano comunque delle tracce sulla rete. Il coraggio deriva ai bulli dal «non guardare negli occhi la vittima». Quello che si “posta” su Facebook arriva dovunque e ad una moltitudine di persone creando nella vittima «un effetto boomerang di isolamento». Oggi, «non è più l’essere brutto o grassoccio» ad attirare fenomeni di bullismo, spesso è «la ragazza molto carina, invidiata» a diventare la vittima. «Le “chat” sono di tale crudeltà che si fa fatica ad attribuire le frasi a ragazzi giovani». Cita Carolina Picchio che è arrivata a togliersi la vita dopo un video girato ad una festa. «Aveva bevuto, non era più consapevole delle sue azioni, era etichettata come una poco di buono. Non ha retto lo stress». La legge 71/17 ha fornito una definizione del reato, “pressione, aggressione, molestia, ricatto, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno ai minorenni, realizzato per via telematica”. Sopra i quattordici anni, il minore può richiedere al gestore del sito di rimuovere i contenuti entro 48 ore, altrimenti può rivolgersi al Garante. Entro il diciottesimo anno, si può avviare il procedimento amministrativo dell’ammonimento del Questore «in chiave rieducativa del bullo».
Enrica Inzerillo presenta i progetti sulle nuove tecnologie che da nove anni il Gruppo Abele propone alle scuole in chiave di cultura della prevenzione. Presenta delle “cartoline” realizzate con gli allievi, per esempio “Giro il mondo in un secondo”, «si perde il controllo della foto pubblicata». “Per scherzo iniziato… finito in reato”, anche la dott.ssa Esposito aveva accennato alla reazione degli adolescenti quando si arriva alla perquisizione a domicilio, «stavo scherzando!». La dott.ssa Inzerillo osserva che «l’ufficio selezione del personale delle aziende, quando riceve un “curriculum”, controlla su Facebook quella che viene definita “la reputazione digitale”». Una ragazza ha rivelato che «spegnere il telefono di notte è come essere morti. E’ una parte profonda di vita quella che i ragazzi mettono su Internet».
Don Domenico Ricca ricorda ancora che don Bosco rimase folgorato visitando le carceri nel 1841. Pensò: «chissà se quei giovani trovano fuori un amico che si prende cura di loro». Racconta di Emilia (nome di fantasia) tra le storie di vita tratte dal libro di M. Lomunno, “Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti. In dialogo con don Domenico Ricca, salesiano, da 35 anni cappellano al carcere minorile di Torino” (Elledici, 2015). Passò al Ferrante Aporti tra l’8 febbraio e il 26 ottobre del 1989. La sua fragilità di tossicodipendente faceva sì che promettesse di uscirne per poi ricascarvi. Il “don” passava da casa sua per accompagnarla al lavoro, le avevano dato casa e lavoro, ma diceva «la sera qui sono sola. Non c’è nessuno che mi offra un piatto di minestra». I progetti devono avere concretezza, commenta don Domenico, «mancava il pezzo del sostegno alla relazione affettiva». Incontra Edoardo nell’elegante divisa da capotreno sulla tratta Milano Parigi e si ricorda di quanto «ci aveva dato filo da torcere, le energie spese quando era sotto la nostra protezione non erano servite a “cavare il classico ragno dal buco”». L’aveva salvato una ragazza bravissima che gli aveva raddrizzato la vita, «sono importanti le relazioni giuste». Infine, uno spunto tratto da un articolo di giornale (Dario Del Porto, “Repubblica”, 7/10/17). Antonio uccide a diciassette anni una guardia giurata durante una rapina, il 4 agosto del 2009 (Gaetano Montanino). Successivamente, «Antonio chiede al direttore del carcere di dargli la possibilità di incontrare la vedova». Partecipa ad una recita pubblica e tra gli spettatori c’era Lucia, «Antonio sul palco tremava, piangeva come un animale ferito dal male che lui stesso aveva provocato». Ora Antonio lavora con i disabili, «ho promesso a Lucia, il mio angelo custode, di uscire dalle tarantelle (i giri loschi)». Lucia «sa che la strada è lunga. “Amavo tantissimo mio marito. Ma sapere che dal sangue di Gaetano sta nascendo qualcosa di buono mi ha dato sollievo. A volte penso che sia un miracolo».
Piergiacomo Oderda
 

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