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l’Istituto professionale Bosso Monti e la mostra su Ernesto Rossi

10/11/2017 8:53

Bruno Mellano, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della Regione Piemonte, aggiunge un 33 giri “un po’ gracchiante” con i discorsi di Ernesto Rossi alla mostra realizzata presso l’URP della Regione Piemonte in via Arsenale a Torino da una classe quinta dell’Istituto professionale Bosso Monti. Ernesto Rossi, «tra i padri fondatori dell’Europa moderna» è stato in carcere a Pallanza. A metà degli anni Ottanta, Mellano ha avuto l’onore di conoscerne la moglie, Ada Rossi che, nonostante la tarda età, partecipava ai congressi del Partito radicale. Antonella Braga della Fondazione Rossi Salvemini di Firenze propone un brioso ritratto di un uomo «scomodo, controcorrente, rimosso dalla memoria ufficiale» tanto che un analogo lavoro dell’Istituto Vittorio Emanuele II di Bergamo aveva il titolo “Rossi chi?”.

Ernesto Rossi proviene da una famiglia di tradizioni militari forti, il padre con cui ebbe un «rapporto complicato» era un ufficiale di carriera. Si sposa con una donna di «spirito libero», più giovane di venticinque anni. Ernesto nasce il 25 agosto 1897 a Caserta ma è Firenze a plasmarne «lingua, cultura, carattere». Nel 1913, i genitori si separano, «il padre ferisce la moglie in un “raptus” di gelosia». I sette figli restano con la madre a Bologna, il maggiore muore in guerra, due si suicidano, uno è condannato all’esilio.

Ernesto inventa burattini (questo il nomignolo che gli viene affibbiato negli atti ufficiali del Tribunale). Costruisce una dozzina di burattini e un teatrino, riscoperti poi in un antico negozio di giocattoli di Firenze nel 1917 dallo storico politico Calamandrei che, rendendosi conto della preziosità degli oggetti, li acquista e li restituisce alla famiglia. Sempre la Fondazione Rossi Salvemini promuove un progetto editoriale a cura della casa editrice Palabanda (Cagliari)  per la pubblicazione di un libro per ragazzi e uno spettacolo con le lettere scritte da Ernesto Rossi alla madre durante gli anni in prigione che prenderanno vita tra le note delle musiche scritte dal jazzista Paolo Fresu.

Tornando alla biografia di Ernesto Rossi, per sentimento del dovere parte per il fronte da “non interventista intervenuto”, da giovane sottoufficiale vede morire gli amici più cari. Si registra uno sbandamento nel dopoguerra drammatico, l’«ubriacatura nazionalista» lo porta a sostenere la missione di D’Annunzio a Fiume. Gaetano Salvemini l’aiuta a fare chiarezza e a vivere «l’antifascismo come valore». Con i fratelli Carlo e Nello Rosselli firma il primo giornale clandestino, “Non mollare”. Nell’epistolario dal carcere, Ernesto Rossi scrive che «il successo è un metro di valore per chi non ha una verità da sostenere». Occorre agire «anche se non si ha possibilità di riuscita». Il tipografo denuncia l’intero gruppo redazionale, Rossi scappa in Francia ma torna approfittando di un’amnistia. Si laurea in legge a Siena e decide di fare l’insegnante a Bergamo dove conosce Ada che «sacrifica la sua giovinezza» sposando Ernesto già condannato al carcere. «Gli studenti lo amavano così tanto che quando venne arrestato per il suo impegno in Giustizia e Libertà (fondato a Parigi nel ’29 dai fratelli Rosselli) gli scrivono una lettera: “vedrà che tutto sarà chiarito”». Condivide con Augusto Monti, Foa nove anni di carcere al Regina Coeli. Solo una volta la settimana potevano scrivere così «le cose che pensava le sfogava nelle lettere ai familiari». «Leggeva in carcere grazie alla donna che si manteneva con quarantadue ore di lezioni di matematica», anche Ada era stata allontanata dalla scuola pubblica. Dal confino, si origina il “Manifesto di Ventotene”, nato dalle menti di Rossi, Spinelli e Colorni, stampato in edizioni clandestine a Roma.

Per Ernesto Rossi, lo strumento istituzionale era «il federalismo al servizio della democrazia, della libertà, della pace». Resta deluso dal processo di integrazione che avviene «non su base costituente ma funzionalista». Collabora a “Il mondo” di Pannunzio, “Astrolabio” di Ferruccio Parri. Bruno Mellano ricorda ancora il testo “Gli Stati Uniti d’Europa”, scritto in Svizzera da Rossi e recentemente ripubblicato a cura del Consiglio Regionale del Piemonte.

Piergiacomo Oderda

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