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Ritiro quaresimale sui problemi di comunicazione tra genitori e figli

19/03/2018 7:56
di Piergiacomo Oderda
Don Bruno Ferrero esordisce di fronte ai genitori degli allievi dell’Istituto Agnelli di Torino con il racconto di un maschietto di quinta elementare. Dice, in ansia, alla maestra: «mio papà lavora tutto il giorno per nutrirmi, vestirmi, fa anche lo straordinario; mia mamma è tutto il giorno in casa per seguirmi meglio». «Perché sei preoccupato allora?», gli chiede la maestra. «Ho paura che tentino di scappare!». Di questa e altre storie impreziosisce il suo intervento al ritiro quaresimale sui problemi di comunicazione tra genitori e figli nonché sui cinque linguaggi dell’amore. Una signora è delusa dal marito, «mai una pizza, un cinema, solo e sempre lavoro»; il marito d’altra parte è indispettito, «eppure mi dò da fare, aggiusto tutto». La moglie vorrebbe dei momenti speciali, «sono entrambi linguaggi d’amore», spiega don Bruno, «ma non se lo sono mai detto». Si parte da una lettera di una madre di famiglia, scritta dopo una domenica passata in monotonia. «Non una parola di incoraggiamento e conforto per la mamma o la moglie. Ho rinunciato alla mia vita per dedicarla alla famiglia. Che cosa vuoi di più? Mi chiederebbero. Hai tutto, due figli, una di diciassette anni, uno di quindici, auto, casa, pelliccia, il marito con un’ottima posizione che non ti fa mancare nulla. Dentro di me è il vuoto. Domani ricomincia la settimana, accompagno i ragazzi alle loro attività, il pranzo viene consumato senza parlare col marito. Mezz’ora per me non la trovo mai. Niente più amicizie, mi sento isolata tra queste mura, vivo solo per i miei figli e per far funzionare questa baracca». Don Bruno non si trattiene, «sono le persone che ci fanno felici, fatene collezione!». Riprende a leggere, «vorrei dirti ancora tante cose ma devo preparare la cena che come al solito verrà consumata attorno ad un tavolo dove quattro estranei si siedono per abitudine». Diversi i toni nella lettera di una catechista, «un ricordo vivo dall’infanzia è quando mio papà tornava dal lavoro alle sei e mezza. Ero in cucina a fare i compiti, con grida di entusiasmo ci precipitavamo ad aprirgli la porta e lui ci diceva immancabilmente “Beh, come mai ci avete messo così tanto?” Era il momento migliore della giornata». Commenta don Bruno: «quelli che entrano o escono di casa vanno baciati e abbracciati, chi rientra deve sentirsi felice di essere a casa. I riti si imparano in famiglia». Riprende la lettera, «ci accomodavamo a tavola tutti insieme e lui ci ripeteva “voi due sappiate che avete la più straordinaria madre del mondo!”».
Il primo dei linguaggi d’amore sono «le parole di rassicurazione e incoraggiamento, “stai tranquilla ce la faremo!”». Racconta di una ragazza che rovescia sul tavolo il contenuto di una borsetta alla ricerca delle chiavi. Appaiono scontrini del supermercato con dietro i messaggi della mamma, «amatissima figlia, so che sei scoraggiata dal voto negativo sulla pagella. Hai ottimi voti in cui ciò che io e tuo padre riteniamo importante nella vita. Sei onesta, responsabile e indipendente. Ti bacia e ti abbraccia la tua mamma». «I figli hanno bisogno di benedizioni tutti i giorni», chiosa don Ferrero. Una ragazza chiese a padre Nouwen una benedizione durante la preghiera. Il padre lavorava in una comunità di ragazzi con disabilità mentale, il padre l’avvolse col camicione bianco, «Jarrett, voglio che tu sappia che sei l’amata figlia di Dio, sei preziosa, il tuo sorriso, la tua gentilezza verso gli altri membri della comunità ci mostrano che bella creatura tu sia». Una bimba piccola non sopportava suo papà. Don Bruno lo invita ad andare a mangiare la pizza da solo con lei, un trucchetto da fare con ciascun figlio, uno alla volta («ogni figlio ha diritto a tutto il papà e tutta la mamma»). Impacciato, nell’attesa della pizza, il papà le comunica quanto sia contento di averla, del suo sorriso, del suo sguardo, quanto sia fiero di quello che fa. Arriva la pizza ma anziché mangiare la bimba sporge le mani in avanti dicendo «ancora!», mai contenta si sentirsi ripetere quelle parole. Il secondo linguaggio sono i momenti speciali, «una sera si esce, due passi insieme, un momento in cui ci siamo solo io e te. Per questo ogni tanto Dio porta quelli a cui vuol bene fuori nel deserto». Il terzo linguaggio è ricevere doni. «Mia nipote ha ricevuto dal fratello che tornava dall’Inghilterra un pezzo di sapone. Per lei era la fine del mondo perché l’aveva ricevuto dal fratello più grande, lo doveva conservare. Il più bello dei regali è il perdono, non è facile, se non c’è il perdono, nessuna società umana resiste». Il quarto sono i gesti di servizio. In ogni famiglia vigono regole non scritte, il papà isolava tubi dell’acqua, falciava il prato, installava mensole ma i piatti non li lavava. Quando la figlia mette su casa, presa dal lavoro, lasciava accumulare pile di piatti. Una sera rientra tardi dall’ufficio, accende meccanicamente il pc, va a farsi un caffè e trova i piatti sistemati. Telefona alla mamma per ringraziarla ma le dice, «è stato tuo padre!». «Lacrime agli occhi, la regola si frantumava sotto i miei occhi, è stato il più grande gesto d’amore della mia vita!». Il quinto linguaggio d’amore è il contatto fisico. Ricetta della nonna: «quattro abbracci al giorno per sopravvivere, otto per tirare avanti, dodici per crescere, quanti per stare insieme tutta la vita?». Quando Cecilia, una bimba di nove anni, va a casa dell’amica, la mamma di Adele le rimbocca le coperte e le dà il bacio della buonanotte. Sconvolta, non riesce a chiudere occhio. Tornata a casa, comincia lei la sera a dare un bacio a mamma e papà. I genitori restano ammutoliti. La scena si ripete ogni giorno a colazione, alla fermata del bus. Una sera se ne dimentica e la mamma si affaccia nella sua cameretta, «dov’è il mio bacio?».
Piergiacomo Oderda
 

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