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Don Ermis Segatti, alla Consolata, in un dialogo sulla figura di Raimon Panikkar

22/11/2018 13:54

di Piergiacomo Oderda

 

Don Ermis Segatti introduce alla Consolata un dialogo sulla figura di Raimon Panikkar (1918-2010). «Nella prima metà del Novecento si cercarono nella filosofia induista degli addentellati con la filosofia tomista. Tra Shankara e San Tommaso d’Aquino c’erano tanti punti di un possibile dialogo metafisico». Un tentativo con altri presupposti si basava sul fatto che le tradizioni in India avessero categorie autonome rispetto all’Occidente, «bisogna accettare che è possibile arricchirsi reciprocamente». Il presidente della repubblica indiano, Sarvepalli Radekrishnan, in una lezione a Oxford, dal titolo eloquente “Religioni orientali e pensiero occidentale”, espresse il concetto di vedere in Oriente «un patrimonio di religiosità che potrebbe contribuire a creare una simbiosi costruttiva».

Stefano Piano, già Ordinario di Indologia e Direttore del Dipartimento di Orientalistica dell’Università di Torino, ricorda una metafora che l’amico Panikkar ha trattato nella prima parte del nono volume dell’”Opera omnia” (“Mistero ed ermeneutica”, Jaca Book, 2008), dalla pagina 303 alla pagina 385. Ciascuno di noi è come una piccola goccia d’acqua che alla fine della vita si dissolve nel mare. Il destino della goccia dipende dalla consapevolezza che ciascuno ha del proprio essere. Se sono «quella tensione superficiale che tiene insieme un certo numero di molecole d’acqua», la goccia nel mare non esiste più. Se la consapevolezza della goccia, invece, è «quella di essere acqua, allora io goccia, cadendo nel mare, sono il mare, senza limiti di sorta». Si compiace del fatto che don Paolo Scquizzato, suo allievo, abbia citato questa metafora nell’omelia domenicale. A Udine si svolgerà un incontro universitario su temi “vedantici”, ovvero sul pensiero delle Upanishad. E’ un sistema di pensiero che va «alla ricerca della realtà di ciascuno, cosa sono io». Ricorre spesso l’espressione “Tu sei quello”, la realtà trascendente, «come se noi dicessimo, “Tu sei dio”». «E’ una realtà che non si può conoscere, trascende il mondo e il pensiero, al di là di ogni possibile analisi»; si tratta della consapevolezza dell’impossibilità di esprimere con parole la realtà ultima. Le idee delle Upanishad risalgono all’VIII-VII secolo a. C., nel VII-VIII secolo d. C. vengono riprese da Shankara per costruire «un sistema di pensiero coerente attraverso una serie di frammenti, un commento ai testi antichi della Sapienza».

Il professor Piano spiega il concetto di “samsara” (scorrere insieme), «il numero delle vite di ciascuno è paragonabile al numero di granelli di sabbia trasportato da miliardi di fiumi grandi come il Gange». Tale apofatismo, «impossibilità di descrivere la realtà assoluta», richiama l’idea del silenzio, «polo magnetico di saggezza» (da “La dimora della saggezza”). Panikkar diceva a Stefano Piano, «ricordati che l’eternità non è un tempo molto lungo», l’eternità può essere definita come «un’esperienza istantanea di consapevolezza autentica». Moltissimi i vocaboli coniati dal teologo catalano come “cosmoteandrico”, «il pensiero non può essere cosmico, teologico o antropologico, deve abbracciare i tre modi di essere». Un altro termine è “tempiternità” (da “La porta stretta della conoscenza”), «qualcosa che non posso definire in termini di tempo e neppure nei termini di eternità». Originale anche la concezione della pace come «disarmo culturale, il disarmo deve partire dal modo di pensare, occorre superare le particolarità dal punto di vista culturale se si vuole fare un’esperienza di dialogo».

Don Segatti presenta Claudio Torrero, docente di filosofia e presidente di “Interdependence”, associazione interculturale interreligiosa. L’”interdipendenza” è «l’interazione globale tra esperienze spirituali e intellettuali diverse». Panikkar iniziò con l’accettare la condizione in cui era nato da madre catalana e padre indiano «misteriosamente finito a Barcellona». La più famosa citazione è la seguente, “sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista senza cessare per questo di essere cristiano” (“Il dialogo intrareligioso”, Cittadella, 1988). Il suo percorso viene definito come “l’avventura mistica di vedere verità dall’interno di una o più tradizioni religiose”. Dai suoi diari pubblicati recentemente (“L’acqua della goccia. Frammenti dai Diari”, Jaca Book, 2018), si raccoglie una frase pronunciata mentre insegnava in California, a Santa Barbara (5-8-1977), “sembra che con me inizi una nuova linea”. Segue una citazione da “Il silenzio del Buddha. Un a-teismo religioso” (2006): “quando all’inizio degli anni Sessanta cominciai a lavorare alla stesura di questo libro, avevo già raggiunto la confluenza del cristianesimo con l’induismo, ma non si era ancora sufficientemente delineata la mia identità personale, né mi ero liberato di certi elementi circostanziali non assimilati. Mi mancava ancora di integrare con profondità intellettuale e intensità esistenziale il grande fenomeno post-cristiano, noto con il nome di ateismo, e il grande fenomeno post-hindù, noto con il nome di buddhismo”. “Vorrei nello stesso tempo essere fedele all’intuizione buddhista, non allontanarmi dall’esperienza cristiana e non separarmi dal mondo culturale contemporaneo”. “Solo una religione atea può essere veramente religiosa” scriveva Panikkar contro l’adorazione di un dio opera delle nostre mani e della nostre mente. Non si è lontani dall’idea della morte di Dio, evocata da Nietzsche, “il significato primo della morte di Dio significa il rifiuto di qualsiasi meta-fisica, la negazione cioè di qualsiasi realtà che vada oltre a quanto i sensi certificano”. Vincere l’illusione del passato, il miraggio del futuro e porsi di fronte al presente è «la cifra religiosa in analogia alla tradizione buddhista». “Nessuna cultura, nessuna religione può da sola risolvere il problema umano”. In “Identità religiosa e pluralismo” (“Opera omnia”, tomo VI/1, “Pluralismo e interculturalità. Culture e religioni in dialogo”) si esprime con una metafora, «posso comprendere e anche parlare più di una lingua», ciò si applica anche alle religione in quanto lingue. “Sono un cristiano che Cristo ha condotto a sedersi ai piedi dei grandi maestri dell’induismo e del buddhismo diventando anche loro discepolo”. “Sono un hindu portato dal suo karman a incontrare il Cristo e un buddhista che grazie all’impegno personale ha conseguito risultati simili nelle altre due tradizioni”. “Qual è allora la mia religione? Non appartengo simultaneamente a tutte e tre? O piuttosto non vengono armoniosamente trasformate in me?».

Piergiacomo Oderda

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