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Restituire un senso alla pena detentiva.

05/01/2019 14:44

di Piergiacomo Oderda

Pennellate di giallo impreziosiscono le fotografie di Davide Dutto che ritraggono i detenuti della Casa Circondariale “Rodolfo Morandi” di Saluzzo. Le cimette di cavolfiore nel bollitore vigilato da Luciano, l’andamento della strada alle spalle di Marco, gli spazi tra le porte delle celle nel corridoio dietro Rachid. Singolare anche il progetto grafico a cura di Alessandro Rivoira, talvolta il testo finisce di lato, pagina 35 sembra un errore di impaginazione, quasi a simboleggiare i passi falsi che i detenuti raccontano nelle 47 storie che sostanziano il libro “Evasioni” (edizioni Cibele, 2017), a cura di Emanuela Savio. Alcune foto mostrano attività legate alla scuola. Carmine ha una matita in mano e dei fumetti di fronte, Marcello tiene sulle ginocchia un libro aperto sul capitolo della rivoluzione francese; a lettere cubitali, a fianco di Ahmad, si legge: “Ouvir une école c’est fermer une prison”. Sempre Marcello esalta i benefici della lettura, «un libro è una finestra aperta sul mondo reale interiore di una persona… suggerisco di mettere dei premi come alle fiere paesane per spingere alla lettura». Guido scrive una lettera a Luca, «io, fino a cinque anni fa, non sapevo né leggere, né scrivere… ho incontrato una ragazza, un’insegnante, un’amica».
Francesco esplicita l’art. 27, citato in tante storie, “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Per Giuseppe è «lettera morta: il detenuto è solo e lasciato solo con se stesso e senza contatto con il mondo che diventa sempre più lontano fino a perdersi e sfumarsi nei suoi contorni». Si fa riprendere dall’obiettivo di Dutto con un volume dedicato agli albori della letteratura italiana, in giallo due cartine geografiche di sfondo. «Il carcere è sempre il frutto di un albero: è la nostra società che lo produce e dopo averlo prodotto lo giudica, lo condanna e lo rinchiude, pensando che la struttura carceraria lo possa cambiare». Massimiliano, nel suo avvincente racconto intitolato “Il morso del lupo”, individua due modalità per sopravvivere alla detenzione. «In carcere, se non ti crei uno spazio in cui coltivare qualche hobby, attività fisica, lettura, studio ecc., finisce che vieni appiattito dalla monotonia perché in galera le giornate sono come fotocopie in cui trascorri la tua vita. L’unico modo per non farti stritolare il cervello è crearti degli interessi». La seconda riguarda la convivenza con il compagno di cella. «Nonostante la vita dura e mille privazioni, trovare un compagno di detenzione, andarci d’accordo, avere cura e rispetto come lui ce l’ha per te, ti fa sentire vivo, ti fa capire che non sei solo. Piano piano ci si lega l’uno all’altro come fratelli, è un legame affettivo che dura per tutta la vita. E’ come un fiore che nasce in mezzo a una distesa di ghiaccio». Per Luciano, «i rapporti con il mondo esterno sono fondamentali. Saper che un amico, un parente o una qualsiasi persona ti pensano, si ricordano di te, ti vogliono bene, ti dà una carica incredibile, una gioia immensa». «Quello che in carcere ti uccide sono i pensieri. Pensi, pensi e ancora pensi, si pensa tutto il giorno ed è così che si impazzisce. Ecco perché bisogna mantenere sempre rapporti epistolari, avere sempre contatti con le persone, non chiudersi mai in se stessi e socializzare con i compagni».
Marco sostiene degli incontri “faccia a faccia con gli studenti”: «per l’ennesima volta mi sono messo in discussione, ho affrontato le mie emozioni, ho tolto la maschera e ci ho messo la faccia, lo faccio perché credo nel mio percorso, nel mio progetto e nei miei sogni, l’ho fatto per restituire qualcosa alla società, l’ho fatto per riscatto, l’ho fatto per aiutare i ragazzi a capire che a chiunque può capitare di essere il Marco, il Luciano, l’Alessandro, il Johnny o il John di turno». Rachid si cimenta in una prova letteraria: «sono come il vento, leggero e gioioso che vola accarezzando alberi e fiori e che si ferma ai confini di questo mondo per ammirare la nascita di un nuovo giorno». «Ad accompagnarmi è la volontà, che spesso si stanca ma a braccetto riusciamo a fare passi in avanti, recuperando terreno, segnando nuove orme». Johnny lo Zingaro sceglie la poesia: «Sognare è stupendo, sognare in due è realtà./Sii con me e io sarò ovunque per te./Se una tempesta ti volesse spazzare via, diverrei la tua ancora, se la pioggia ti dovesse bagnare, il tuo ombrello». Si fa ritrarre da Dutto su una scala metallica, con le ringhiere che tendono verso l’alto rigorosamente gialle.
Carmine, 64 anni, lancia un invito. «Tante persone che prima di entrare in un carcere la viveva come una realtà sconosciuta, quando vengono per un incontro con i detenuti si ricredono su tutto quello che si mormorava prima e questo per noi è una vittoria soprattutto quando vogliono portare la vera realtà di noi carcerati e noi li ringraziamo dal profondo del nostro cuore a tutti coloro che si mettono in prima persona». Bruno Mellano, garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Piemonte, scrive in prefazione che l’obiettivo del libro consiste nell’«”arruolare” sempre più rappresentanti dell’opinione pubblica e del mondo del volontariato nella quotidiana battaglia per restituire un senso alla pena detentiva».
Piergiacomo Oderda
 

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