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In ricordo di Gianni Rissone: obiettivo far salute. “Aumentiamo la nostra coscienza di noi"

09/01/2019 18:01

di Piergiacomo Oderda

Ho incontrato due volte il dottor Gianni Rissone per intervistarlo e non gli ho mai chiesto come mai i capitoli del suo testo “Una vita da matto vestito da dottore” (2011, ed. Tigullio-Bacherontius) sono contrassegnati nel titolo da temi musicali. Ora non c’è più e possiamo rileggere nel capitolo “Andante con brio. Polca” le sue parole: «Perché il problema non è la morte, inevitabile, prima o poi (meglio poi e come) ma come si è vissuto, e, questo, era, è, il senso principale della mia vita lavorativa». L’andamento del testo è caratterizzato spesso da frasi brevi che spezzano il ritmo laddove si scaglia contro i suoi avversari, chi in qualche modo ha cercato di ostacolare l’attuazione delle leggi 180 e 833 (entrambe del 1978). Gli avversari si sono rivelati sempre più accaniti man mano che il dott. Rissone ricopriva ruoli gestionali nell’USSL 43 di Torre Pellice e all’Ospedale San Giovanni Bosco (nel 2002 non venne riconfermato). Eppure il modo di raccontare riacquisisce fluidità quando rievoca il rapporto instaurato, per esempio, con Caterina. «Non avevamo fatto niente di speciale: ci eravamo interessati a lei, ai suoi famigliari ed ai vicini; ragionando con loro, condividendone le ansie, vivendo la situazione come gruppo». Pari trasporto si coglie nel ricordo del papà che «scriveva poesie in Piemontese: è stato un noto poeta dialettale Torinese della “Famijia Turinèisa». Ricorda la moglie Irina, i figli, Simona e Alessio che gli dice per telefono: «Papà, sono orgoglioso di te!».

La passione per la navigazione gli serve per spiegare la strategia del doppio obiettivo con la “strambata di bolina”, «una manovra per riprendere il vento con andatura di bolina ed evitare lo stallo… non volevano che realizzassi la neurochirurgia… Cambiavo direzione». Franco Basaglia e Agostino Pirella sono «gli scienziati e psichiatri del cambiamento per fare la salute mentale», li abbraccia nel cuore e nella mente nella prima pagina del libro. Cita subito anche un giornalista, «Questo scritto è colpa di Daniele Cerrato», ritratto nel leggere e correggere il testo («non una punteggiatura giusta c’era, tra l’altro»), nel firmare i servizi dei TG; ne loda «l’onesta, seria, autonomia professionale». Gianni Rissone faceva «parte di quel gruppo di Psichiatri che dissero no al manicomio con l’organizzazione e la gestione di servizi per la salute mentale nel territorio». Organizzò i convegni “Obiettivo far salute” e “I Servizi di Salute mentale e La ricerca”, da cui scaturirono due pubblicazioni per i tipi di Rosenberg & Sellier (1991). «Noi basagliani volevamo passare da un oggetto, diagnosi, ad una persona con il suo nome, perché non avevamo paura del matto». La moglie di Basaglia, Franca, venne a Torre Pellice per presentare la “Carta di Ottawa” (Health Promotion, 1986) dell’O.M.S.

Dal 25 marzo 1997 venne nominato Direttore Generale dell’A.S.L. 4. Scrive nel suo sito: «Ho portato il S. G. Bosco, pur essendo un ospedale di A.S.L., a diventare riferimento internazionale per l’Emergenza sanitaria per l’O.M.S. e la Repubblica Popolare Cinese. Non rifiutavamo mai nessuna emergenza anche se con posti letto e sale operatorie occupate, in cui si operava 24 ore su 24». Ricorda l’intervento del chirurgo maxillo facciale Luigi Solazzo che coraggiosamente tolse un ampio angioma dal volto di una giovane mamma del Trentino. «Metà testa fu asportata e ricostruita, con l’orecchio messo nel braccio per la vascolarizzazione». Elogia i carabinieri che scortarono in velocità da Torino a Pinerolo i chirurghi vascolari chiamati a salvare Michael, un bimbo che «si era sgozzato in casa contro una porta a vetri, correndo»; «io impiegavo minimo un’ora e mezza, guidando veloce. Loro impiegarono esattamente 21 minuti». Enrico Visetti ed Antonio Sechi diressero il gruppo che praticò per un’ora e diciassette minuti il massaggio cardiaco (85 massaggi in 60 secondi) ; insieme «rianimarono un uomo arrivato in arresto cardiaco, facendolo ritornare ad una vita normale».

Le ultime parole del libro sono per Lear «95% schnautzer e 5% barboncino», lo ricordo mentre annusava il mio zainetto da giornalista. «”Ti metto il guinzaglio! Andiamo! Non tiraareee…! Dai, verso la Libertà!” Bauh! Bauh! “Nooo… Non in salita, disgraziato!”».

Il dottor Rissone ha formulato tre contributi sul nostro giornale. Concludeva così una breve analisi sui suicidi, circa cinque anni fa. «So solo una cosa: se mi amo ho la risorsa per vivere dandomi coraggio, creatività, reagire. Sono io che posso decidere. Aumentiamo la nostra coscienza di noi, aprendo le finestre del possibile. Se no il buio oscura la luce».

Piergiacomo Oderda

 

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