Facebook Twitter Youtube Feed RSS

Cenni di vita monastica medioevale " Ora et Labora" Abbazia Santa Maria di Cavour. II parte

01/03/2019 8:29

di Dario Poggio 

Parte seconda

 

Continuando l’excursus sui personaggi della comunità monastica che avranno sicuramente operato nella Abbazia di Santa Maria di Cavour dopo l’Abate ed il monaco camerario, vi erano poi un “cellario” addetto al granaio, alla cottura del pane e al lavaggio della biancheria, un “responsabile della foresteria”che accoglieva i viandanti ed un monaco “ erborista “ che aveva l’importantissimo incarico di curare i confratelli, i pellegrini o gli eventuali laici che ne chiedessero l’intervento.

Il lavoro dell’erborista, consisteva nella raccolta, catalogazione e rare volte anche manipolazione alchemica delle erbe medicinali, operato che era attentamente sorvegliato dall’Abate il quale non tollerava “divagazioni” che non fossero strettamente terapeutiche.

Al riguardo è nota la lotta che la Chiesa faceva nel medioevo alle “mulierculae” (donne cioè che con diaboliche pozioni ed unguenti facevano abortire le fanciulle) ed anche alle presunte “streghe” accusate all’epoca d’ogni sorta di diavoleria e soprattutto quella di preparare filtri magici e diabolici per volare con essi nel “Sabba” (l’assemblea delle streghe) ma, molto più realisticamente, si trattava in genere di misture di varie erbe tra cui la più nota era “l’Atropa belladonna o Giusquiamo” (chiamato appunto l’unguento delle streghe), un’erba dai poteri tossici, allucinogeni ed anche notevolmente analgesici.

Il lavoro per eccellenza che veniva svolto dai monaci era quello nella biblioteca o scriptorium (sotto l’occhio vigile del monaco responsabile o bibliotecario) dove con infinita pazienza venivano copiate in codici di pergamena le opere antiche (in greco, latino ed arabo) di genere liturgico, teologico e di letteratura classica e scientifica, tutte opere che dovevano essere degne di venire consegnate alla memoria dei posteri.

Oltre che copiatori, i monaci erano anche valenti scrittori di nuove opere (spesso riguardanti la vita dei Santi od anche trattati puramente scientifici) e grandi commentatori dei testi Sacri.

I monaci sono stati quindi i principali “conservatori e divulgatori“ del patrimonio religioso, culturale e scientifico dell’occidente.

La giornata del monaco si divideva quindi tra preghiera e lavoro con una sequenza precisa scandita dalla “ Regola ” che prevedeva di massima:

Il mattutino (ultima parte della notte verso le 2/3) quando venivano recitati e cantati i salmi, le Laudi (tra le 5/6 della mattina), l’ora Prima (7,30 poco prima dell’aurora), l’ora Terza (verso le nove), l’ora Sesta (a mezzogiorno, quando durante la riunione di tutti i monaci si consumava il frugale pasto e venivano letti i brani dei Vangeli o delle Sacre Scritture; si mangiava in silenzio assoluto con l’animo rivolto alle parole dei Testi Sacri; sulle tavole apparecchiate, ognuno trovava il pane ed un coltello, ed ogni due monaci una misura di vino, chiamata la “giusta”, la Nona (tra le 2/3 del pomeriggio).

Seguivano i Vespri (quando si cenava) ed in ultimo Compieta (verso le sette di sera), ora in cui i monaci si ritiravano nelle proprie celle per il riposo. In ogni momento i monaci dovevano osservare il silenzio, ma sopratutto durante le ore notturne.

A tutti i monaci spettava un turno di lavoro in cucina per aiutare il monaco che vi era preposto e turni di duro lavoro per la coltivazione dei campi che circondavano l’Abbazia.

I cibi venivano cotti in grandi pentole di ferro sospese sul fuoco del camino con grandi ganci. Nessun monaco poteva possedere qualcosa di proprio, né libro, né tavolette per scrivere, né stilo, assolutamente nulla. Tutto ciò di cui si poteva aver bisogno lo si doveva domandare all'Abate. Tutto era comune a tutti.

Le manchevolezze erano regolate da severe norme disciplinari che andavano dalle ammonizioni verbali per quelle più lievi, al pubblico rimprovero, alla scomunica dalla mensa, alla proibizione di leggere e salmodiare, fino alle punizioni corporali per coloro che pur rimproverati e castigati più volte non si ravvedevano (con la verga ed il ferro per amputare) ed ove tutto ciò non bastasse..." l'infedele che vuol separarsi si separi perché la pecora malata non infetti tutto il gregge" .

La vita monastica trascorreva così, semplicemente di ora in ora, contrapponendo alla forza laica della spada (prevalente in quei tempi) quella della preghiera e della cultura.

Bisogna poi considerare che in quei tempi molti monaci appartenevano a famiglie signorili e nobili.

Infatti, nella seconda metà del sec. XIII vi compaiono nomi come i Bersatore, i Lucerna. ed i signori di Bagnolo.

Per alcuni di questi la vita monastica fu vera scelta di vocazione e santità ma per altri una forzata rassegnazione al destino di non primogenitura. 

I monaci benedettini cavouresi fecero importanti opere di bonifica dei terreni paludosi, canalizzazioni ed opere irrigue favorendo il sorgere dell'agricoltura locale e la diffusione dei sistemi di conduzione dei terreni.

Tuttavia a partire dal 1500 per l'Abbazia cavourese iniziò una lenta ma inesorabile decadenza, tanto che, perso il suo ruolo strategico ed economico venne affidata, secondo l’usanza dell'epoca, in Commenda a Cardinali, Signori e Nobili del vicinato (del 1500 il primo Abate Commendatario: Guglielmo Bardini).

 L'istituzione a "Commenda "comportava la ripartizione del patrimonio abbaziale in due parti distinte: la prima di competenza dei monaci residenti nell'Abbazia e la seconda di competenza dell'Abate commendatario. Questa ripartizione generò grandi problemi organizzativi ed inevitabili diatribe e degrado spirituale. I monaci residenti quasi totalmente privati di ogni potere dagli Abati Commendatari si ridussero sempre più di numero fin quasi a scomparire. Nel 1855 spogliata di ogni bene ed abbandonata dai frati l'Abbazia cavourese cesserà purtroppo di esistere come Monastero religioso.

Oggi, le Abbazie in vita (e cioè quelle popolate da monaci) sono purtroppo sempre di meno e le nuove vocazioni monacali consentono di presidiare solamente le Abbazie di maggior fama e tradizione oppure, come in alcuni casi accade, di fondarne di nuove ma in luoghi diversi ed isolati, oggi più adatti alla meditazione ed alla preghiera (come ad esempio il noto monastero “Dominus Tecum” di Pra D’ Mill fondato da padre Cesare Falletti e dai suoi confratelli Cistercensi del monastero di Lèrins)

Moltissime ed antiche Abbazie sono così vuote e sole, ma rimangono sempre ” Pietre Sacre e vive” che ci trasmettono testimonianze di tempi lontani, ci raccontano storiche vicende, emblematici monumenti di fede, di mistica contemplazione, di sacrificio, di preghiera e di lavoro.

 Ed è forse per questo che a sera, quando i cancelli dell’Abbazia di S. Maria di Cavour si chiudono sull’ultimo visitatore,...

" Par ancor levarsi, dalle sue antiche mura, un dolcissimo cantico di lode al Signore…"

 Dario Poggio

 

   

Commenti