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PD. Nicola Zingaretti a Torino "Questa è la nostra piattaforma Rousseau"

17/09/2019 9:06

di Piergiacomo Oderda 

Mimmo Carretta, segretario metropolitano del PD Torino, dà il benvenuto a Nicola Zingaretti a nome di «Diego, Cristina, Tony», i volontari che hanno gestito a Torino in corso Grosseto due settimane di festa. «Questa è la nostra piattaforma Rousseau», «affrontare questa pazza estate» per «parlare, discutere, far capire il momento difficile». Si accalora, «non molliamo, andiamo avanti perché Salvini non è sconfitto, è dentro di noi», denuncia «un imbarbarimento del lessico». «Le sfide più grandi si vincono andando incontro alle esigenze dei cittadini, fornendo delle risposte».
Andrea Malaguti, vicedirettore de “La Stampa”, trae spunto dall'incontro della Lega a Pontida, l'aggressione di un giornalista di “Repubblica”, gli insulti a Gad Lerner. Parla di «Italia divisa in due, scontro frontale radicale». «Buona sera a tutti e grazie ai volontari», esordisce Zingaretti. Riprende gli insulti ai giornalisti come attentato alla libertà di pensiero per poi ricordare la professoressa di Palermo «sospesa per due settimane per aver chiesto agli studenti di fare una ricerca di storia sulle similitudini tra le leggi italiane e le leggi del Ventennio fascista. Nessuno di quel governo è intervenuto per cambiare la decisione». Racconta «l'iniziativa politica del PD nel mese di agosto», la decisione di perseguire un governo «non “a tutti i costi” ma solo se a schiena dritta costruiamo un programma di svolta». «Quando si è aperta la strada l'ho percorsa», «la politica dell'odio stava distruggendo l'Italia»; «cercare di dare soluzione ai problemi, questa è la differenza!». Andrea Malaguti stuzzica il segretario nazionale del PD sugli alterni rapporti con Di Maio. «Non ho mai cambiato idea», si difende Zingaretti, «è parte della battaglia politica». Rivendica «l'opposizione durissima al governo giallo verde», fondata su argomenti precisi, «la crescita passata da 1,7 a zero, la crescita della Cassa Integrazione, la necessità di una svolta nei rapporti con l'Europa». E' già «un governo molto diverso», cita più volte Roberto Gualtieri, tornato da Bruxelles con «un'idea di politica economica fondata su crescita e sviluppo». Nell'asta dei titoli si sono risparmiati novecento milioni di euro, lo “spread” è calato, «non è più il governo che ha bruciato venti miliardi!».
«Non abbiamo risolto i problemi dell'Italia, vanno ricostruite le condizioni per guardare agli imprenditori con crescita zero, i ragazzi che scappano dall'Italia. Non commettiamo l'errore di sottovalutare la crescita della disuguaglianza economica». «I rischi sono immensi», chi «corre i maggiori rischi è il PD ma se in gioco c'è il destino della democrazia italiana, c'è una bella possibilità di ridare un ruolo a questo partito».
Traccia un obietivo, «mettere in soffitta la vergogna anticostituzionale della “flat tax”», abbassare le tasse ai ceti medio bassi, riaprire la politica industriale, la rivoluzione verde. Roberto Gualtieri ha proposto «lo scorporo dei vincoli del patto investimenti sulla sostenibilità». «Non commettiamo l'errore di illuderci che basti governare per cambiare il Paese». La missione lanciata alla Festa nazionale di Ravenna è quella di «prepararci a segnare dei nostri valori gli anni Venti di questo secolo». Il pensiero di Zingaretti va a quegli altri anni Venti in cui da «povertà, rabbia, disperazione prese corpo il progetto del fascismo».
Andrea Malaguti cita la presenza di Giovanni Paolo II e Oriana Fallaci nel “pantheon” leghista. Zingaretti ribatte: «nel “pantheon” del futuro del PD vedo quella ragazza e quel ragazzo italiani che scappano dall'Italia perché non vedono futuro» e quelli che rischiano di morire venendo dall'Africa. Questi giovani «vengono divisi in maniera selvaggia da chi non vuole costruire futuro per questa umanità».
Cade nel vuoto anche la provocazione su Bersani e D'Alema, né l'uno né l'altro «hanno la minima idea di ritornare al PD», chiarisce Zingaretti; il vero problema consiste nella «lotta alle disuguaglianze», nel «mettere al centro le imprese». «Il nostro popolo è molto più unito dei suoi dirigenti» e reitera quattro volte l'aggettivo “molto”.
Il vice direttore de “La Stampa” prevede un'Italia spaccata in due qualora la Lega vincesse in Emilia. Zingaretti ritorna su «rabbia, dolore, solitudini delle persone che richiedono scelte radicali». Lasciando perdere le giunte già insediate, per i percorsi politici futuri occorre «superare il modello di contemplazione delle differenze con i 5 Stelle. La stagione di litigi, sgambetti, polemiche hanno logorato la credibilità. Troviamo i punti su cui è possibile fare passi avanti insieme». Serve «rimettere in campo una piattaforma di idee, valori», «un'apertura mentale nel riconoscimento della ragione degli altri. Se il destino è l'Italia questa fatica di fare bene ce la dobbiamo sentire sulle spalle». Spiega così la sua “impuntatura” nel non volere due vice premier come se ognuno dei due dovesse stare a guardia dell'identità e della comunità che l'ha espresso, per «litigare tutti i giorni sulle virgole».
Andrea Malaguti pone la domanda su Conte, «imparziale o espressione dei 5 Stelle». «Avevamo chiesto maggiore discontinuità anche sul Presidente del Consiglio», riflette Zingaretti. Tuttavia i 5 Stelle sono il partito di maggioranza relativa con più del trenta per cento di voti, «hanno rivendicato il diritto di esprimere il Primo Ministro». Puntualizza che non vada chiamato «di fronte ad ogni problema il giudizio di Conte, la squadra di governo è costruita insieme in spirito di collaborazione».
Malaguti interroga ancora Zingaretti sul ruolo del Nord Italia. Il segretario del PD si inalbera, «Salvini ha tradito il Nord Italia», in quindici mesi è crollato il fatturato, la produzione, l'export. Riprende ancora «il tema dello sviluppo, della crescita, della politica industriale» e il messaggio di Gualtieri, «stiamo combattendo per tirare fuori investimenti pubblici sulla “green economy”». Quanto alle “autonomie giuste”, «il modello emiliano è uno dei modelli per aiutare l'Italia ad essere più competitiva» ma non intende sostenere «autonomie che distruggono l'Italia, la scuola, che dividono poveri e ricchi. Proviamo insieme all'Europa a rieccendere i motori di questo paese».
Ultime riflessioni del giornalista sui territori che si lamentano di essere stati ignorati nella scelta dei ministri e sottosegretari. Zingaretti ammetta la difficoltà nell'«intrecciare le Regioni con il pluralismo politico». Sottolinea tuttavia «l'orgoglio di gioire perché ha vinto il PD nel suo insieme». Col 18% dei voti, il PD ha il 50% di rappresentanza al governo. Cita Roberto Gualtieri, «l'ho iscritto io alla FGCI», c'è un rapporto personale di stima anche se «da quando faccio politica ha sempre fatto scelte congressuali opposte». Eppure, «quando il segretario deve dire chi fa il ministro dell'economia, non mi importa l'appartenenza alla corrente». 
 
Piergiacomo Oderda
 

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