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lettera pastorale di mons. Olivero “Vuoi un caffé” . Le relazioni

04/10/2019 15:26

di Piergiacomo Oderda 

La lettera pastorale di mons. Olivero “Vuoi un caffé” può essere letta da vari punti di vista. Se si va a curiosare tra le pagine che intendono tracciare un cammino pastorale, si scopre un'intuizione interessante, i giornali locali sono «costruttori di comunità». Del resto, proprio la parola “cammino”, ben evidenziata dalla foto di Davide Dutto di due scarponi sul sentiero, mi hanno fatto pensare al discorso sul patto educativo di papa Francesco in cui ha sottolineato come ogni cambiamento richieda un cammino adeguato. Un grassetto indica come qualsiasi progetto pastorale debba comprendere innanzitutto il lavorare sul “luogo elementare” delle relazioni, un asse portante per la pastorale familiare (e non solo). Il carattere impegnativo del progetto proposto da mons. Olivero traspare dalla foto posta immediatamente a fianco del titolo della lettera. L'immagine suggerisce temi quali l'accoglienza dei migranti, l'attenzione alla realtà del carcere; le antenne del credente si sintonizzano sul brano evangelico di Mt 25, la novità del regno che si realizza nel concreto, una chiave di lettura delle parabole matteane appresa quest'estate dalla predicazione degli esercizi spirituali di Davide Varasi della fraternità di Bose, fra gli ulivi di Ostuni. Mons. Olivero sceglie il salmo 133 e si sofferma a riflettere sull’olio. Le relazioni “proteggono e profumano le tue giornate”, anzi la relazione fraterna “rende sacra la tua esistenza”, con riferimento all’olio usato per la consacrazione del sacerdote Aronne. “La mia vera identità è la fratellanza” e lo si riscopre pregando il “Padre nostro”, “ogni volta che riconosciamo nell’altro un fratello, facciamo emergere la verità su di noi”.
Le parole per camminare sono diciannove e qui le citazioni si fanno più fitte: Duilio Albarello, Pier Angelo Sequeri, Roberto Repole, papa Francesco. Su ogni parola si potrebbero impostare degli incontri. “Le nostre comunità sono al servizio della fraternità universale”, la citazione riprende un pensiero dei padri conciliari nella Costituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium.
Calzante l’accostamento tra il titolo della sezione dedicata al salmo e  la foto di una scena di musica e di personaggi in festa abbarbicati su di un enorme albero. Potrebbe essere un input per quella che don Scquizzato chiama “ecosofia”, per dare fondamento di pensiero all’ecologia. La foto di Ezio Ferrero dei tre uccellini simboleggia il tema della tradizione, “noi poggiamo su ciò che gli avi hanno costruito nei secoli”. Nel commento, si anticipa un altro capitoletto dove si riprende la frase “oggi il soffitto si è abbassato”. “Dio è evaporato, è diventato inutile”, “manca uno sguardo simbolico, capace di vedere oltre l’economico e il funzionale”. Di economia si parla nel racconto del beduino che possedeva undici cammelli. L’approccio di economia civile di Zamagni centrata sul dono potrebbe aprire ad un filone di approfondimento per esempio con don Domenico Cravero che nell’ultima edizione del Salone del libro ha presentato il testo “L’economia della speranza”, recensito in questo giornale. Spesso nella lettera pastorale si parla di “revisione di vita”. Il mio pensiero va al “vedere, valutare, agire”, metodo con cui sono cresciuto nei gruppi giovanili della parrocchia. Ad ogni modo, “dedica del tempo a fare la revisione di vita delle tue relazioni importanti”.
Il capitolo cardine della lettera è quello del caffé e del suo riferimento pittorico con Matisse e Casorati. Con il caffé “ti sto promettendo che conserverò prezioso nel cuore questo tempo trascorso insieme”. I giganti dipinti in una “Danza” commissionata da un imprenditore russo, Sergej Scukin, sono un cerchio aperto. “Vale per le coppie: il vero amore sta davanti a noi, non alle nostre spalle”. La parrocchia è un “cerchio di uomini e di donne che ciascuno deve mantenere in movimento, mantenere capace di danzare”. “L’attesa” di Casorati sembra ricollegarsi alla lettera pastorale dell’anno scorso, “Lo stupore della tavola”. “Ha cucinato la cena per la famiglia, ha preparato la tavola. Poi si è seduta, in attesa”. L’attesa era resa con delicatezza nella poesia di Turoldo. L’unica lacuna della lettera di quest'anno può essere la mancanza di una poesia. A ben guardare, spuntano i versi greci di Omero là dove si parla di “confine”. Si evoca l’accoglienza di Ulisse da parte dei Feaci. “Lo straniero è un dono degli dei, nell’ospite si può nascondere una divinità”. Scrive F. Piantoni, “è benedetto lo straniero perché ci impone di alzare la sguardo dal nostro utile, da modelli economici disumani, per impegnarci a immaginare nuovi modi e forme di stare insieme”. Resta tra gli elementi più importante il “raccontarsi i cammini” per creare “un processo più ampio”, “il meccanismo generativo del cammino dal basso”. 
 
Piergiacomo Oderda
 

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