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L'ansia «non è né buona né cattiva, è un'esperienza che va vissuta».

05/10/2019 8:00

di Piergiacomo Oderda

«Quando ho rimesso i piedi in Avogadro, ho provato una certa emozione!». Pierluigi Bertini, diplomato nel '58, è presidente della Lidap (Lega Italiana contro i Disturbi d'Ansia, agorafobia e attacchi di Panico) e introduce la sessione di presentazione delle attività dell'associazione, dal titolo “Ansia, una voce amica”. In un contributo video, Fabrizio Tabiani distingue tra ansia e disturbo d'ansia. Traccia un parallelo fra quest'emozione e le spie del cruscotto di un'auto, «si accendono in determinate circostanze e ci inducono ad agire in un certo modo». L'ansia segnala che «qualcosa d'importante è minacciato». L'ansia «non è né buona né cattiva, è un'esperienza che va vissuta». «Scappare dall'ansia equivale a scappare da noi, per impedire che si crei il disturbo d'ansia occorre modificare la relazione con l'esperienza dell'ansia». Tabiano suggerisce di «imparare ad essere flessibili psicologicamente, aprirsi al senso di vulnerabilità», riprende un'affermazione costante di Pier, del presidente, “imparare ad essere se stessi”.

Giovanni Occhipinti e Martina Franchi cercano di cogliere dal pubblico risonanze alla proiezione dei primi minuti del film “Emotivi anonimi” (regia di Jean-Pierre Améris, 2010). La ragazza che cerca lavoro in una cioccolateria e il manager «mostrano modi diversi di affrontare l'ansia», osserva Elena Tibaldi, docente all'Istituto Avogadro che avvia con la Lidap un progetto pilota per le classi seconde. «Il film aiuta a non farci prendere sul serio», dice chi si lancia a raccontare la propria esperienza. «L'interazione con altre persone fa scattare la paura di come si verrà giudicati», osserva Franchi. C'è chi ha provato un senso di liberazione, chi ha visto il “chiudersi dentro” nel frenetico tirar giù delle tapparelle quando il manager si rintana nel suo studio. C'è chi ricorda di aver provato lo stesso timore nel dover bussare ad una porta, poi è subentrata la motivazione sociale d'aiuto, il doversi assumere le rivendicazione di altri ha permesso di superare la ritrosia iniziale. «L'ansia si manifesta in modo diverso in ciascuno». Occhipinti lascia una consegna: «in che cosa questo film vi ha fatto senitre cambiati?». Giuliana Rasi introduce il tema della psicologia transpersonale, «un paradigma, una guida per la mia esistenza, una spinta ad andare oltre se stessi». L'identità rassicura ma è limitante, si tratta di «acquisire nuovi occhi per vedere se stessi e il mondo, una trasformazione radicale e profonda». E' necessario sacrificare l'idea di noi stessi «in favore di un allargamento dei confini», oltre il quadrato dell'io «c'è un cerchio che lo comprende e lo supera». Racconta del caso di un docente brillante che soffriva di attacchi di panico e diceva: «sono curioso se guardo un libro, se guardo fuori dalla finestra sono il più pauroso. Io chi sono?». Il castello dell'identità si sgretola. La psicologia transpersonale invita a considerare «il sintomo come un alleato per avvisarci che qualcosa non va». «Siamo una cosa sola, corpo, anima e cervello». L'anima è parte integrante, “psyché”, non è la mente (“lògos”). E' il “pneuma”, il respiro, l'autocoscienza, “zoé”, l'anima del mondo. «Il macrocosmo contiene il mistero insondabile della vita, c'è un mistero che ci supera». Il sintomo non si può ignorare (fa male), non si può solo combattere (rischia di incattivirsi), «lo si può incontrare e stare lì insieme». Rasi aggiunge: «lo si può amare, liberare l'energia lì racchiusa».

L'energia liberata è quanto fa sperimentare la vicepresidente di Lidap, Donatella Lessio. In un men che non si dica tutto l'uditorio si ritrova in piedi, braccia lungo i fianchi, in ordine alfabetico a scrutarsi negli occhi. Abbiamo provato a «uscire dal ruolo a cui siamo abituati». «Il teatro aiuta le persone a fare quel passo fuori dalla zona di comfort».

Nella foto  Bertin e Tibaldi 

Piergiacomo Oderda

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