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LE FOTO. Orbassano: recensione film "La guerra di Paolino".

di  Fulvio Tron

 

Paolino è fidanzato, alla sua partenza per il fronte promette alla morosa che ritornerà, che la sposerà.

La storia di Paolo Pautasso è simile a quella dei moltissimi ragazzi chiamati alle armi nel 1916. La vicenda parte dalla fabbrica di aeromobili AER di Orbassano, dove Paolino lavora come falegname, costruisce e collauda i biplani che vengono utilizzati in guerra contro i tedeschi sul fronte occidentale. Quando riceve la chiamata alle armi sa di poter diventare pilota e il suo patriottismo, la voglia di fare e la sua fermezza lo porteranno a pilotare e ad abbattere un aereo nemico insieme al compagno Beppe.

Ferito insieme a Beppe Andruetto di Bruino in una battaglia aerea, ritornerà a casa zoppicante e con nel cuore i sentimenti schiariti da questa terribile esperienza di vita.

In effetti “La guerra di Paolino” diretta da Ezio Carlini, presentata il 28 novembre scorso al centro culturale di Orbassano, i cui dialoghi sono stati scritti da Carlo Pognante durante le riprese una settimana per la successiva, parla di sentimenti, di amore confuso come lo è sempre a quell’età e in ogni epoca. Una confusione che a quel tempo doveva essere più forte per chi non conosceva nulla delle realtà di fuori, come Paolino, Beppe e i commilitoni provenienti da campagne e cittadine di provincia.

Il film non vorrà essere sulla guerra, ma in alcune scene cade nel comico, con una sequenza alla Bud Spencer e Terence Hill – corredata da effetti sonori adeguati alla commedia, – una scazzottata che Pognante aveva visto come quelle che avvengono quando si consolida un’amicizia. Il Re Vittorio Emanuele III potrebbe essere quasi credibile con il rigido generale al seguito che pretende l’attenti dai soldati ricoverati nell’ospedale milanese e impossibilitati ad alzarsi. Potrebbe, se avesse deciso tra l’uso del “lei” e quello del “voi” quando si rivolge ai feriti. La locomotiva a vapore nella vecchia stazione Dora è emblematica e richiama bene le tradotte dell’epoca, se l’atmosfera non fosse rovinata dalla chiamata del campanello che precede l’avviso sul binario nelle moderne stazioni a noi contemporanee. Un paio di calzature del tipo ballerine ai piedi dell’infermiera, femme fatale per Paolino e per il commilitone che gli aprirà gli occhi alla “Casa del soldato”, sono sicuramente un particolare trascurabile, come lo è l’interpretazione dell’addio della stessa infermiera, presa in prestito da un film di Fritz Lang, attrice che ha mantenuto l’espressione immutata in ogni sequenza del film. A loro vantaggio, ci tocca dire che gli attori sono in gran parte alla prima interpretazione, scelti dalla Union Model di Zanetti per la loro avvenenza tra modelli e modelle piemontesi.

Non male il protagonista impersonato da Andrea Russo, com’è credibile il parroco del paese con il marcato accento torinese interpretato da Fabrizio Carlini da cui si intuiscono esperienze di teatro. Esperienze visibili anche nel giovane Matteo Casto che con una più che discreta dizione e l’espressione spavalda convince e si muove bene anche sul fondo della scena riempiendo con la mimica le pause tra le battute nell’ospedale militare. Decisamente insicuro e perciò un po’ sciapo Beppe, interpretato da Stefano Cianciaruso e decisamente inespressivo e mono-tono il quarto commilitone.

Bella e romantica la scena della sposa che giunge alla funzione accompagnata in bicicletta a cavalcioni del tubo del telaio.

L’esplosione dell’aeroplano non è credibile: bastava l’effetto sonoro, inquadrando gli avieri che si allontanano in gran fretta.

Occorre dire che la pellicola è stata girata in poco meno di sei mesi, il cast si è prestato gratuitamente così come la costumista e tutto lo staff tecnico, quindi è stato notevole e pregevole lo sforzo di Carlini e Pognante per farci ricordare i piemontesi – italiani - che hanno vissuto e sofferto quel periodo. E per non dimenticare la guerra, soprattutto.

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