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VIDEO. “Sono di orgine nomade ma vengo discriminata per il mio cognome”. Pinerolo

di Martina Decorte

Dario Mongiello

direttore@vocepinerolese.it

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Brisindò Antonia Della Garen, 23 anni, residente a Roletto, con grande coraggio, ha deciso di far sentire la propria voce e di parlare della sua vita, fatta di discriminazione ed intolleranza a causa delle sue origini e del suo cognome. Infatti, il suo cognome Della Garen è notoriamente d’etnia Sinti (popolazione nomade) e per questo motivo sta avendo numerose difficoltà ad essere accettata e a trovare un’occupazione lavorativa. Brisindò ha così deciso di denunciare al nostro giornale il suo malessere e la sua sensazione di essere discriminata, in particolare nel mondo del lavoro.  (video intervista sul sito www.vocepinerolese.it ).  All’incontro era presente anche il fratello più piccolo, Gabriel, il quale ha potuto confermare le peripezie quotidiane con cui sono costretti a convivere. Il papà Carlo da 25 anni vive con Patrizia Rodin, (una non nomade…) nata a Pinerolo. Una unione felice, mai ostacolato dalle famiglie di origine e oggi sono un esempio straordinario di amore e condivisione della vita.

Quando ha compreso che il suo cognome era considerato un “marchio”?

“Da piccolina non mi rendevo conto della mia situazione, però i problemi erano già presenti. Mia mamma ha avuto numerose difficoltà con gli istituti scolastici, sin dalla materna, appena questi ultimi venivano a conoscenza del mio cognome. Per fortuna, devo dire che non ho mai avuto problemi con i miei coetanei, grazie anche al mio carattere estroverso e socievole. All’interno delle scuole che ho frequentato, di qualsiasi grado, non ho mai avvertito un’intenzione discriminante né da parte degli insegnanti né da parte dei miei compagni. Le difficoltà le ho riscontrate al di fuori, soprattutto in questi ultimi anni che sto cercato di inserirmi nel mondo del lavoro.”

Quali episodi ed atteggiamenti l’hanno fatta sentire discriminata?

Mi sento sminuita e discriminata da vari atteggiamenti, ad esempio quando le persone, venendo a conoscenza del mio cognome, storcono il naso e all’istante lo sguardo cambia. L’episodio più recente, che ancora mi lascia con l’amaro in bocca, risale alla mia ultima esperienza lavorativa. Mio zio, fratello di mia mamma, ha saputo che una ditta cercava personale e mi ha proposta. Durante il colloquio conoscitivo, nel momento in cui ho detto le mie credenziali, ho notato subito un irrigidimento da parte del mio interlocutore. Mi è stato domandato per quale motivo il mio cognome fosse di origine sinti, visto che lo zio materno che mi ha proposta non è sinto, come se fosse qualcosa di negativo e dispregiativo. Non nego che mi sono sentita offesa e avvilita dall’atteggiamento di chi avevo di fronte, atteggiamento diffidente e poco professionale.” Anche io a scuola e con i coetanei non ho mai avuto problemi – interviene il fratello Gabriel - al momento sto ancora studiando, però vedendo da vicino le difficoltà di Brisindò so che, anche io, nel futuro troverò molti ostacoli nel cercare ed ottenere un lavoro.”

A questi atteggiamenti sono seguiti dei commenti diretti?

“Sinceramente no, non ho mai sentito personalmente delle parole offensive nei miei riguardi. L’atteggiamento non è mai sfociato in frasi ingiuriose o epiteti. Purtroppo, quando una persona ha una brutta considerazione di te non è necessario che te lo dica a parole, basta osservare la sua espressione e il suo sguardo … gli occhi dicono tutto ciò che pensa!”

Una ragazza di vent’anni, perbene, diplomata, con una vita come quella di tanti altri giovani. Come è possibile che le sue origini influenzino in questa misura il suo avvenire?

Interviene subito Gabriel: “In passato un Della Garen ha commesso degli sbagli e per questo motivo siamo stati tutti marchiati. Se una persona delinque non significa che tutta la famiglia deve essere formata da delinquenti, a prescindere dal cognome! Ad esempio quando mi fermano con la macchina ad un posto di blocco, nel momento in cui guardano patente e libretto e vedono il mio cognome, commentano sarcasticamente che è strano che ho la fedina penale pulita, date le mie origini.” Noi abbiamo un cognome conosciuto, in negativo…, nel pinerolese e paesi limitrofi –prosegue  Brisindò - e questo non facilita a liberarsi dalla “fama” di delinquente. Io, mio fratello ed i miei cugini siamo una generazione che sta crescendo in modo diverso rispetto a quella di mio padre e di altri nostri parenti. Noi non abbiamo mai vissuto nel campo nomadi, siamo nati in una casa, con entrambi i genitori lavoratori, abbiamo frequentato la scuola fin dalla materna … una vita regolare e normalissima! Abbiamo avuto un’educazione rigida, per non alimentare l’atteggiamento ostile nei nostri confronti. Non capisco per quale motivo le persone non comprendano che non siamo tutti uguali, fatti con lo stampo.”

Ha mai pensato di cambiare cognome?

Ammetto di averci pensato. Mio padre, quando sono nata, aveva chiesto a mia madre se preferiva che io avessi il cognome materno ma lei si è rifiutata. Ad oggi si sono un po’ pentiti per la loro scelta, non per vergogna, ma perché vedono le difficoltà che viviamo io e Gabriel. Loro, da genitori, non vogliono che noi viviamo i loro stessi episodi spiacevoli. Mio padre me l’ha richiesto quando si è accorto della mia difficoltà nel trovare lavoro ma io mi sono opposta. Ci ho pensato esclusivamente perché sarebbe stato più facile trovare un’occupazione, però ragionando ho detto no. Io sono nata Brisindò Antonia Della Garen e non voglio essere nessun’altro. Ha volte ho come l’impressione che Il mio cognome sia, come per gli ebrei perseguitati , una Stella di David cucita sopra una giacca e nel mio caso un segno sulla mia pelle. Tutti i bambini quando nascono prendono il cognome paterno, perché io non dovrei avere il cognome del mio papà? Per quale motivo dovrei vergognarmene? È mio papà, questa è la mia famiglia!”

A fronte dei dati oggettivi sulla mancanza di lavoro giovanile in Italia, ritiene che la sua disoccupazione sia dovuta a questo fattore oppure al suo cognome?

Dopo un momento di riflessione replica: “Io penso per il mio cognome. È vero che la situazione italiana non è delle più rosee, ma ho inviato molti curriculum vitae e non sono stata contattata neanche per fare una prova lavorativa! Stiamo parlando di centinaia di curriculum a cui io non ho mai avuto risposta. Nemmeno una chiamata di cortesia per dirmi che al momento non c’era più bisogno, che mi tenevano in considerazione per un futuro ... totale indifferenza! Non dico di essere l’unica, ma sicuramente il mio cognome non mi fa preferire ad altri. La gente ha paura, pensa che posso rubare, che non sono affidabile, che non sono in grado di avere delle responsabilità. Vorrei dimostrare che si sbagliano, che io non sono come credono, ma la possibilità di farmi conoscere e riscattarmi mi viene negata a priori.”

Ha mai avuto un’esperienza lavorativa abbastanza duratura da poterle smentire la sua idea?

“Purtroppo no. Nella maggior parte dei casi non vengo contattata. Non ho mai avuto un’occupazione di media-lunga durata per poter affermare che il problema non sia il mio cognome ma la disoccupazione dilagante.”

Può dimostrare che questo comportamento è dovuto al suo cognome?

“Si, perché vedo che è una realtà con cui devo fare i conti non soltanto io, ma anche mio fratello Gabriel, i miei cugini, mio papà … veniamo trattati tutti allo stesso modo.”

Questo clima di sospetto ha condizionato il suo modo di essere?

“Certamente, mi ha condizionata parecchio nel modo di pormi. Qualche sera fa ero ad un bar insieme ai miei amici e dietro di me era seduta una signora. Ad un tratto si è allontana dalla sua sedia, lasciando la borsa incustodita. Al nostro tavolo, nel frattempo, si sono aggregati altri amici e toccava aggiungere posti a sedere. Per far passare le sedie da avvicinare al nostro tavolo era necessario spostare la borsa della signora ancora lontana ed io, al posto di toccare la borsa, ho spostato direttamente la sua sedia, per non avere contatto con oggetti personali di altri. Non volevo che la gente che mi circondava pensasse che avessi cattive intenzioni. Se l’avessi toccata e fosse mancato qualcosa dalla borsa della signora sapevo che sarei stata colpevolizzata, soltanto perché sono una Della Garen.”

Questi accorgimenti li attua anche nella sfera privata?

 “Si e questa è la cosa più triste. Anche con gli amici mi faccio mille problemi e sono sempre attenta a quello che potrebbero pensare. Loro non fanno nulla per farmi sentire diversa o in difetto, anzi, semplicemente alcuni comportamenti sono diventati un automatismo. Ad esempio quando devo andare in bagno in casa di amici cerco di fare tutto veloce, per evitare che possano pensare che frugo in cassetti e armadi. A pensarci mi viene da ridere e mi dico: ‘dai Bri, che complessi ti fai? Sei semplicemente andata in bagno! Sei con amici e loro non possono pensare nulla di male’. Eppure mi viene naturale, è più forte di me.”

Cosa notate di diverso tra coloro che vivono al campo e chi, come voi, vive in una condizione di stabilità?

“Alcuni componenti della famiglia di papà vivono al campo, in via San Pietro Val lemina a Pinerolo, altri invece vivono in una casa normale. Cambia la mentalità: chi vive in una casa, fuori dal contesto del campo, si rende più conto della realtà che lo circonda. Chi, invece, vive al campo è come se si facesse influenzare dalla comunità. Si fanno forza l’uno con l’altro e si proteggono a vicenda da questo clima di odio e di discriminazione. Noi che ci siamo staccati vediamo la vita con occhi diversi e per questo facciamo più fatica. C’è più sofferenza, perché abbiamo una consapevolezza maggiore di quanto sia difficile avere un lavoro regolare e una vita normale. La cosa positiva è che, accorgendoci delle opportunità che il mondo ci offre, possiamo coltivare interessi e sogni, al contrario di chi vive la realtà del campo”.

Per quale motivo suo padre ha deciso di cambiare stile di vita e lasciare il campo?

“Mio padre non voleva assolutamente farci crescere al campo di Pinerolo, anche grazie a mia mamma si è reso conto che il mondo offriva molte più opportunità di quelle che aveva avuto fino a quel momento. Mio papà non ha avuto una vita facile, ha fatto numerosi sacrifici e continua a farli tutt’ora. Ha sempre creduto in noi e ci ha aiutato a coltivare le nostre passioni: io faccio canto lirico e Gabriel gioca in una squadra di calcio. È per questo motivo che non intendo cambiare cognome, perché se diventassi qualcuno nella vita, se riuscissi ad avverare i miei sogni e diventare una cantante lirica, o anche solo ad aprire un negozietto, io voglio farcela come Brisindò Antonia Della Garen. Voglio dimostrare che non importano le tue origini ma quello che sei. Voglio farcela come Della Garen per riscatto personale, per dimostrare a tutti che si sono sempre sbagliati sul mio conto”.

Andate ogni tanto al campo a trovare i vostri parenti?

 “Si certo, - afferma Gabriel - di solito andiamo insieme a nostro padre. Non proviamo né vergogna né imbarazzo ad entrare al campo, sono nostri parenti, sangue del nostro sangue.”

La presenza di questo cognome le ha pesato molto?

“Si, - prosegue Gabriel - voglio far capire che il cognome non è tutto, conta il singolo individuo. Io sono una persona perbene e normale e non ho nulla da nascondere.  Ho voglia di lavorare, ho voglia di fare, di impegnarmi e penso che le persone dovrebbero conoscermi prima di giudicare soltanto perché porto un cognome piuttosto che un altro.”

Ci spiega cosa significa il nome Brisindò Antonia?

Brisindò sorride nel ricordare la vicenda: “Significa ‘pioggia’ in dialetto sinto. Una sera, quando i miei genitori erano ancora fidanzati, stavano viaggiando in macchina e ad un certo punto ha iniziato a piovere. Mio padre ha esclamato, rivolto a mia madre, che scendeva la ‘brisindò’ e lei è rimasta colpita da questo nome così particolare e ha deciso che, se mai avessero avuto una figlia, l’avrebbe chiamata proprio Brisindò. Quando mia madre ha scoperto che aspettava un bambino mia nonna paterna Antonia ha detto a mia madre: ‘Scommetto che sarà una femmina e che la chiamerai Brisindò!’. Dopo poco tempo, purtroppo, è venuta a mancare e io, nata femmina, ho acquisito anche il suo nome.”

Perché ha deciso di raccontare pubblicamente la sua storia?

Voglio far capire alle persone che se in un futuro sbaglierò, sbaglierò come Brisindò, non come Della Garen. Nessuno è perfetto e tutti commettiamo errori, ma gli errori sono legati alle azioni di una persona, non alla fama del cognome. È una situazione molto pesante ed è difficile pensare ad un futuro. Il messaggio che voglio trasmettere è che se c’è una pecora nera non significa che la famiglia sia un gregge di pecore nere. Se c’è una persona che sbaglia non vuol dire che tutti i componenti della famiglia devono per forza sbagliare.”

Lei ha detto che fa canto lirico, anche in quel contesto il suo cognome è conosciuto?

Per fortuna in quell’ambiente non ho mai avuto problemi. Uscendo dal pinerolese il mio cognome non è così pregiudicante. Ammetto che anche in altre regioni italiane siamo conosciuti, ma non è così pesante come qui in Piemonte.”

Vi hanno mai chiamati ‘zingari’?

Entrambi i fratelli annuiscono. Brisindò risponde: “Me lo dicevano soprattutto da piccola quando volevano canzonarmi. Allora non reagivo, crescendo ho imparato a rispondere a tono.” Gabriel ricorda un episodio spiacevole: “Io sono stato chiamato zingaro durante una partita di calcio. Offendere una persona per l’etnia, piuttosto che per un difetto fisico, è davvero una cattiveria gratuita.”

Qual è il termine più corretto per indicare la vostra etnia?

“I termini senza accezioni negative sono sinti o nomade. Zingaro è un’offesa, utilizzata soltanto per discriminarci. In tale termine vengono racchiuse numerose etnie: gli Slavi, i Rom, ecc.. Noi siamo italiani e piemontesi doc. Noi siamo sinti piemontesi. La nostra famiglia ha praticato la vita nomade in passato, poi si è stabilita al campo di Pinerolo. Quindi non è corretto definirci nemmeno più nomadi, perché viviamo una situazione di stabilità abitativa.”

Vuole fare un appello ai nostri lettori?

 “Siamo nel 2017, si sta tutto evolvendo e dobbiamo evolverci anche noi. Io non dico che siamo tutti perfetti e senza colpa, ma bisogna conoscere prima di sputare sentenze. Io sono una persona molto limpida: se sbaglio chiedo scusa, ma se non sbaglio non voglio sentirmi discriminata per qualcosa che non ho commesso! Guardatemi come Brisindò, non come Della Garen. Ho 23 anni, sono diplomata all’Istituto tecnico turistico e sono in cerca di lavoro. Se c’è qualcuno che vuole dami una possibilità io sono disponile. Spero in futuro di avere delle opportunità così da poter smentire tutti i luoghi comuni associati alla mia persona!”

 Nella foto Gabriel e Brisindò Della Garen

 

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