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VIDEO. Nicola Duberti: i libri tra poesia e dialettologia

VIDEO.

di Piergiacomo Oderda

Imperturbabile, accomodato al tavolino sull’ape che ansima per la salita di Upega, in terra brigasca, Nicola Duberti accende, più che la sua pipa, dialoghi in vernacolo. Si tratta del documentario di Sandro Bozzolo e Alessandro Ingaria dal titolo che riporta quattro modi di dire “acqua” nelle parlate di diversi paesi (“Aigua, eua, oiva, aqua. Le voci del Tanaro”, 2012). Incontriamo Nicola nella Riserva Naturale dell’Oasi Crava Morozzo e ripercorriamo i libri che ha pubblicato, tra poesia e dialettologia. In una poesia tratta dalla raccolta “Varsci” del ’96, si parla della nonna “veja veja” che parla solo in dialetto mentre il nonno le propone racconti in calabrese. Nel 2003 firma un contributo, “Una panoramica dei gruppi linguistici presenti nel Monregalese”, in un’opera dal titolo “Parole nòstre”, pubblicata con Ernesto Billò e Carlo Comino. Nello stesso anno, vince il concorso “Salut’me ‘l Mòro” con Ënvërtoje” (ed. Ël péilo Amici di Piazza) per il quale Giovanni Tesio conia una definizione che riprenderà anche in occasione del convegno dei linguisti a Vicoforte (26 novembre 2011). Nota «la frequenza delle immagini che rimandano a ragnatele, vespai, alveari: un’espansione rizomatosa di barbe e bulbi che inducono a pensare e a sentire la vita, come esile frontiera d’un altrove che è la morte ad inventare». Tre anni dopo viene pubblicata una “Piccola antologia di poesia monregalese” in cui si parla a proposito di Duberti di una “sperimentazione veramente innovativa”. Nel 2005, si diletta con la prosa, in “Nature morte”, proponendo una lingua “inesistente nella realtà ma ben viva nel sogno: lo stermasco. Mista di ligure intemelio e di provenzale alpino”. Torna alla poesia nel 2008 con “Taccuino del chirurgo”, “Nella casa della Colla” è disponibile on line con immagini evocative e accompagnamento di chitarra. Lo studio della coniugazione del verbo sostanzia il suo contributo al convegno sopracitato di cui ha la curatela degli atti con Emanuele Miola (“Alpi del mare tra lingue e letterature. Pluralità storica e ricerca dell’unità”, 2012, Edizioni dell’Orso). Altro premio “Salut’me ‘l Mòro”, a distanza di dieci anni, con Taj curt Haiku (“El peilo” Amici di piazza, 2013). Remigio Bertolino parla di “fulminea poesia giapponese di sole diciassette sillabe”. Duberti ringrazia anche Carlo Regis « morto l’anno scorso, un poeta monregalese, uno dei più famosi, che ha ottenuto più riconoscimenti e che ha sempre scritto Haiku». Lo stesso anno pubblica  “J’ombre ‘nt le gòmbe. Le ombre nelle valli. Poesie nelle parlate monregalesi di Viola e del Kjé” (Centro studi piemontesi). Sia Giovanni Tesio che Remigio Bertolino (prefazione e postfazione, rispettivamente) accennano al lupo “correlativo animale” che mira ad un’umanità tutta interiore, “custode di un mondo abbandonato. Le liriche di Duberti rivelano un “tessuto musicale di forte scansione impressionistica”. Per definire l’essenza della poesia ricorre ad una canzone di Branduardi dove «la morte viene imprigionata dal ritmo musicale, il ritmo musicale imprigiona la morte. La poesia è una cosa un po’ così. La forma imprigiona il non senso, il dolore, la morte, la crudeltà». L’anno dopo pubblica la tesi di dottorato, “I costrutti causativi in una varietà galloitalica pedemontana: il dialetto di Rocca de’ Baldi”, meticolosa indagine su trentun osservatori impegnati a tradurre in dialetto 81 proposizioni dall’italiano. Un carattere di novità rappresenta la giovane età di alcuni testimoni, allievi dello stesso Duberti. Nicola è infatti insegnante alla scuola secondaria di primo grado di Rocca de’ Baldi, appassionato della vita della scuola proprio come l’insegnante Corbellino, protagonista in “Piccoli cuori in provincia granda”, altra opera in prosa (Primalpe, 2011). Infine, premio Murazzi 2017 per la raccolta di poesie “Le stagioni delle cose” con altisonante motivazione a cura di Sandro Gros Pietro: “Il connubio di una parola fortemente espressiva con la felicità di un occhio osservatore, implacabili indicatori della ragione e della follia fanno di questi versi nitidi e lapidari una delle crestomazie più efficaci della modernità di scrittura in capo poetico con vasti echi e risonanze sul background della civiltà occidentale, nella sua fastosa e affaticata sensazione di sazietà delle esperienze”. Ci lascia indicando come lavoro da svolgere « un volume che raccolga tutta la varietà linguistica che c’è in questa zona, che descriva l’evoluzione fonologica, le caratteristiche sintattiche e morfologiche delle diverse subaree dialettali in maniera sistematica e organica. C’è tanto lavoro da fare!».

Piergiacomo Oderda

 

 

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