Facebook Twitter Youtube Feed RSS

“Cascina Marie”: a Bricherasio: Centro pedagogico di danza e cultura popolare

24/04/2014 12:21

La strada sterrata che percorro dalla cappella Merli di Bricherasio per incontrare Maria Baffert mi rievoca passeggiate campestri d’altri tempi. Per i nostalgici c’è anche una camera a disposizione come “bad and breakfast”.

Come nasce Cascina Marie? Perché si chiama così?

«Poco tempo fa mi è capitato di parlare con dei compagni delle medie e qualcuno mi ha detto “Ma non ti ricordi che sognavi una cosa così?”. In effetti, sognavo da sempre un posto in campagna che permesse di ospitare gruppi, famiglie, proporre attività. Insieme alla mia laurea in pedagogia mi sono appassionata alla danza e alla musica popolare, il repertorio piemontese, italiano e un po’ di tutta Europa. Mi sono formata didatticamente su questo ed è diventato da vent’anni il mio lavoro. Nel 2004 ho lasciato Torino dove sono nata, ho cominciato a cercare una tettoia che permettesse uno spazio per un gruppo numeroso, è di cento metri quadri.  Mi piaceva l’idea di connotare con un nome la cascina che ho ristrutturato, la persona che abitava qui prima di me si chiamava Maria (abita in paese, ha 78 anni); le mie radici sono francesi, sono della zona di Chambéry, il mio cognome è francese. E’ venuto fuori un abbinamento di una parola italiana e una francese, se uno non lo sa e legge “Cascina Marie”, va bene ugualmente, una Maria prima e una dopo».

Cos’è il Centro pedagogico di danza e cultura popolare?

«L’idea quando ho acquistato questo posto era di creare non solo una realtà che facesse concerti, ritrovi, qualche corso, ma proprio farlo diventare un centro di formazione. Con un gruppo di amici abbiamo aperto questa associazione C.P. che lavora su vari ambiti. Un primo livello sono le danze occitane delle nostre valli, si fanno corsi serali per adulti e ogni tanto si fanno serate “balfolk” dove un gruppo musicale suona e le persone ballano. Un secondo filone riguarda la formazione per adulti su vari repertori di danza popolare, non solo occitani ma anche di diverse regioni d’Italia o di diversi luoghi d’Europa, si fanno stage di due o tre giorni, chiamando anche dei docenti dall’estero, approfondendo le tradizioni culturali. Un terzo filone concerne la musica popolare. Si sono svolti negli anni passati, diversi stage di strumenti, organetto, ghironda, i vari strumenti della tradizione di queste zone. Cinque anni fa è nata un’orchestra, tutto è nato da un week end, uno stage di musica insieme per il quale ho chiamato un giovane ma bravissimo musicista, Simone Bottasso che studiava al conservatorio Direzione d’orchestra. Da quel primo esperimento, è nato un primo nucleo della “Folkestra Bricherasio” che è diventata una realtà talmente grossa che quest’inverno si è costituita in associazione. Sono quaranta musicisti e venti coristi, vengono qui una volta al mese a fare una domenica di studio, di prove e fanno dei concerti al Polivalente (V. Vittorio Emanuele II 94, a Bricherasio). Ultimo filone è quello che riguarda i bambini, le scuole vengono qui in primavera in gita scolastica e hanno la possibilità di scegliere tra una decina di laboratori dove alla danza viene abbinato un laboratorio di attività manuale, legato alla natura, al riciclo, alla costruzione di strumenti con oggetti di recupero. Due volte all’anno ci sono momenti di formazione per insegnanti, sia sulla musica che sulla danza. Rispetto ai bambini c’è anche un’iniziativa che coinvolge le famiglie, dai tre ai dieci anni con i genitori, il secondo sabato di tutti i mesi, un pomeriggio dove si fanno danze, racconti, dei momenti di pittura o disegno e due volte l’anno, alla danza si abbina un laboratorio d’argilla. Questi pomeriggi si chiamano “Ballando con Cipì”. Il salone ricavato dalla tettoia l’ho intitolato Salone Cipì; ho chiesto il permesso a Mario Lodi (mancato recentemente a 92 anni), mi ha risposto con una lettera che gli piaceva molto l’idea. Negli anni passati abbiamo fatto anche attività estiva di estate ragazzi».

Vai nelle scuole?

«Propongo laboratori nelle scuole di ogni ordine e grado con la possibilità di scegliere tanti percorsi, almeno dieci collegabili con le materie d’insegnamento. Sono dei laboratori di otto incontri, ma alcune materne fanno tutto l’anno. Danze ma anche giochi cantati, legati al canto, alla voce, della tradizione popolare. Nelle scuole faccio l’aggiornamento per gli insegnanti.»

Quando ti sei appassionata della danza? Riesci ad individuare un momento originario, una scoperta?

«Una sera del 1989 un’amica mi ha portato dove c’erano delle persone che si trovavano il lunedì sera e facevano questi balli insieme (da loro sarebbe nata l’associazione Baldanza), una realtà che era iniziata qualche anno prima da alcuni insegnanti che avevano fatto il corso con il Cemea. Sono tornata il lunedì dopo, mi sono appassionata, mi è scattata quasi subito la voglia di abbinare i miei studi, intuendo che dietro c’era qualcosa di molto interessante. Ho cominciato a ricercare, a formarmi, a leggere tutto quello che esiste (molto poco), fin da subito mi sono cercata corsi in giro per l’Italia, un po’ all’estero soldi permettendo. Facevo attenzione a quando venivano dei docenti dall’estero, in particolare in Emilia Romagna dove una decina d’anni fa ho conosciuto una docente di Montreal (France Bourque-Moreau), che è proprio specializzata nel repertorio infantile. Sono andata per alcuni anni a Reggio Emilia a fare formazione con lei e in questi quattro anni la invito qui per fare uno stage ad ottobre.»

In cosa ti ha arricchito la formazione acquisita a Corigliano d’Otranto come insegnante di danza tradizionale salentina?

«Un filone importante di formazione è stata con l’Associazione Taranta, di Firenze dove c’è uno dei pochissimi ricercatori in Italia, Michele Gala. Ha fondato una scuola di formazione per insegnanti di danza etnica italiana. In questi vent’anni ha fatto scuole residenziali, per una settimana ci si immergeva in una certa regione, sul repertorio di danze, organizzava molti incontri con persone del luogo, con chi aveva fatto ricerca. Ho fatto questi tre anni di scuola, tra la Toscana e l’Abruzzo sul repertorio di tutta l’Italia con esame finale. In seguito ho fatto una settimana residenziale a Montemarano, in provincia di Avellino, dove c’è una famosissima tarantella. In Salento, si approfondivano tutti i vari passi della zona, incontrando gli anziani dei vari paesi, Corigliano, Torrepaduli. Quel repertorio del Sud, per come sono fatta, per il mio fisico, per come ci muoviamo qui, è lontano da noi. Ho trovato molto interessante ragionare sulla differenza tra il Nord e il Sud, sulle danze a struttura aperta e quelle a struttura chiusa. Le nostre hanno una certa melodia, a quella melodia corrisponde quella coreografia, quel passo, quella posizione: è la musica che indica la struttura della danza, sono a struttura chiusa. Molte danze del Centro Sud hanno la caratteristica di avere una struttura aperta, in Salento con le pizziche e in tutto il mondo delle tarantelle, la melodia non dice che cosa fare. All’interno della tarantella di ogni paese c’è un repertorio di passi e di movimenti che i ballerini utilizzano non perché glielo dice la musica ma perché è un dialogo tra le due persone che stanno ballando insieme, mentre la musica dà l’indicazione del ritmo. L’uso dei passi e delle forme all’interno di quel repertorio è scelto da chi sta ballando, la sequenza è sempre diversa e si dice struttura aperta.»

Citavi una collaborazione con altre associazioni…

«L’anno scorso abbiamo creato una rete di cinque associazioni, un piccolo coordinamento che si chiama Folkcard; materialmente abbiamo fatto un’assicurazione comune, chi ha fatto la tessera da una parte può andare anche negli altri centri. Queste associazioni sono Baldanza di Torino, che si è sempre occupata non solo di danze occitane ma internazionali, e Treedanza di Moncalieri. C’è un’associazione di Torino più specializzata su repertorio occitano e francese che si chiama Piemonte Cultura. La quarta è la nostra. La quinta è una delle primissime associazioni che sono nate a Torino, si chiama John O’Leary in irlandese, hanno sempre fatto occitano, francese e irlandese. Negli ultimi dieci anni si sono specializzati, gli unici, sulle danze svedesi. Collaboro con queste e con un’associazione che non si occupa di danza, Cascina Macondo, a Riva di Chieri. Si è sempre occupata di cultura intesa come scrittura creativa, dizione, affabulazione, lavorazione dell’argilla. Collaboro con loro perché da dodici anni sono a titolo personale e come associazione in un progetto del comune di Torino che si chiama Ricerca comunità attiva, un progetto importantissimo, nato a Torino sull’integrazione della disabilità. E’ un progetto in cui il Comune invita le associazioni ad aprire le attività alle persone disabili, a proporre momenti di integrazione per tutti. A Cascina Macondo da dodici anni, una domenica al mese facciamo una giornata di danza, di argilla.» Nella foto Maria Baffert

Piergiacomo Oderda

 

Commenti