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“Lo stupore della tavola” e gli impegni pastorali di mons Derio Olivero.

26/09/2018 7:09
di Piergiacomo Oderda
A Torino è in corso di svolgimento Terra madre, sul Corriere della Sera è apparso un voluminoso mensile intitolato “Cook”. La lettera pastorale del vescovo, “Lo stupore della tavola” è come uno scrigno a cui attingere con l’accortezza di cogliere tra le righe spunti di riflessione che possono animare lavori di gruppo, azioni di sensibilizzazione, momenti di preghiera. Sin d’ora, come redazione di “Voce Pinerolese”, intendiamo collaborare ad approfondire queste tematiche, per essere «costruttori di cultura, creatori di legami», come scrive mons. Olivero nel punto dedicato ai giornali locali. La lettera intende in primo luogo attivare la comunità diocesana, la chiave di volta è il «sogno che il prossimo anno la mia lettera sia fatta da voi: con le vostre riflessioni, le nostre esperienze, i vostri progetti, le vostre domande». Il tema lo si è già “assaporato” negli incontri a San Domenico durante la festa dell’artigianato: «ecco perché cammineremo un anno sul tema del mangiare. Per imparare da questo gesto comune e quotidiano gli aspetti fondamentali del vivere e del credere». I simboli di partenza sono una pagnotta e il quadro di Caravaggio “Cena in Emmaus” (1602). «La riproduzione del quadro di Caravaggio va sistemata in un luogo visibile», in casa come in parrocchia. Enzo Bianchi, nel testo “Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere” (Einaudi, 2015) si sofferma a lungo sul pane: «frutto della terra e della nostra cultura, il pane condiviso e dunque capace di renderci compagni (da “cum-panis”), il pane che ci fa vivere, diventa la presenza, la “res” venerabile che narra l’umanità, l’accompagna e la fa vivere».
Raccolgo qualche input dalla lettera pastorale per individuare spunti di approfondimento, utilizzabili, per esempio, nelle ore di religione a scuola. La terza parte della lettera è dedicata ad alcuni versi di padre David Maria Turoldo. Possiamo trarre una linea che unisce l’esperienza di Turoldo con don Milani, La Pira, il card. Martini. Per Turoldo, il compito del poeta assomigliava a quello del profeta. La lirica scelta dal vescovo s’intitola “E non chiedere nulla” ed è tratta dalla raccolta “Nel segno del tau” (“O sensi miei… poesie 1948-1988”, Rizzoli, 1993). La dedica a Ravasi della raccolta è toccante, “si tratta appena di una silloge dei miei sussurri e grida spirituali, avanti il silenzio finale (amorosamente atteso, comunque)”. Su Turoldo può essere utile consultare la biografia approntata nel 2016 da Mariangela Maraviglia, “David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992)” per i tipi di Morcelliana. Nella sezione della lettera di Mons. Olivero, intitolata “Alla luce della Parola”, si traggono spunti dal brano della moltiplicazione dei pani del capitolo sei di Marco (vv. 30-44). Approfondendo l’esegesi, si scopre che nei versetti introduttivi è l’unica volta che Marco indica i Dodici attraverso la parola “apòstolos”, il verbo significa “mandare, inviare”. A Gesù i discepoli comunicano tutto ciò che avevano compiuto e annunziato, «l’insegnamento senza la solidarietà è inutile e viceversa» (Vangelo di Marco. Nuova versione, introduzione e commento di Santi Grasso, ed. Paoline, 2003). 
Il vescovo elenca quindici parole chiave con «l’intento… di aprire un cammino». Laddove si parla di “Consumo”, sceglie una citazione di Pier Paolo Pasolini che ritroviamo anche in prima pagina al testo di Enzo Bianchi, “Gli uomini del mondo contadino non vivevano un’età dell’oro… vivevano l’età del pane”. E’ tratta da “Scritti corsari”, in risposta ad un’osservazione di Italo Calvino. Il testo di Pasolini è apparso sul giornale “Paese sera” l’8 luglio 1974. L’artista di origine friulana rivolgeva una particolare attenzione ai valori antichi radicati nella civiltà contadina. Tra le segnalazioni bibliografiche raccolgo uno spunto da Domenico Cravero (“Alimentare il corpo, nutrire l’anima. Cibo e affetti, gesti e parole attorno alla tavola”): «la tavola della sala è come la custode della memoria familiare e raduna la famiglia allargata negli eventi più importanti e nei rituali più significativi». Ben si accompagna ad alcuni passaggi significativi della lettera del vescovo, «la tavola come momento di raccontarci», «la festa spezza il ritmo e apre uno squarcio di senso», «ogni pasto è un allenamento a diventare capaci di ospitalità».
Un approfondimento mariologico potrebbe riguardare il ruolo di Maria nel banchetto di Cana (Gv 2). Gesù la chiama “Donna” , ai discepoli dice “fate quello che vi darà”, assumendo il ruolo di madre dei credenti e madre della Chiesa. San Giovanni Paolo II commentava l’episodio in una catechesi mariana: “la grazia del Sacramento offre agli sposi questa forza superiore d’amore che può corroborare l’impegno della fedeltà anche nelle circostanze difficili” (5-3-1997). Già alla fiera dell’artigianato, il vescovo ha cominciato a realizzare uno dei sogni, «luoghi di ristorazione che creano iniziative di riflessione sul mangiare e il cucinare». «Cucinare per altri è una delle metafore più belle dell’amore: significa prendersi cura, prendere in seria considerazione le attese dell’altro, offrire il meglio per farlo vivere». Non sfugga il particolare che la lettera pastorale è siglata l’11 luglio, festa di S. Benedetto. Nel capitolo XXXIX della Regola si parla della misura del cibo, «nulla è tanto estraneo ad ogni cristiano quanto l’intemperanza, come dice il nostro Signore: “badate che i vostri cuori non siano gravati dal troppo cibo” (Lc 21, 34)».
Piergiacomo Oderda
 

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