Facebook Twitter Youtube Feed RSS

Il ristoratore dev’essere «onesto, ordinato e abile». Incontri con S. Soma, e Chiara Francini

25/09/2018 20:24
Bruno Ventavoli, direttore di Tuttolibri, inserto culturale de “La Stampa”, nonché traduttore dall’ungherese e docente per l’Università degli Studi di Torino, chiama sul palco de “La Nuvola – Lavazza” la scrittrice Petunia Ollister, “nom de plume” di Stefania Soma, e l’attrice/scrittrice Chiara Francini. A confronto due testi, “Mia madre non lo deve sapere” di Francini che narra le vicende del figlio di una coppia gay (conduce il programma “Love me gender” su laf dove si raccontano esperienze di coppie LGBT) e “Colazioni d’autore.#bookbreakfast”, geniali scatti di Ollister su scampoli, tazzine e dolci a tema con la copertina di un libro; le fotografie sono affiancate da una citazione del libro scelto e da una golosa ricetta. L’obiettivo della serata è far luce sul rapporto cibo/letteratura. Ventavoli ricorda il modo di dire “me lo sono divorato”, «quando amiamo un bel libro». Cita Feuerbach, “siamo quello che mangiamo” e raccoglie dal testo della Francini alcune metafore culinarie quali il mascherarsi come quando si aggiunge della panna «in un sugo di cui ci si vergogna». L’attrice lega momenti di beatitudine al soddisfacimento dei bisogni primari, «nel momento del convivio non solo ti nutri ma hai la possibilità di condividere e di stare a contatto con persone che ti avvolgono, è un nutrimento doppio». Petunia Ollister narra l’origine del suo nome, «non volevo stare nei “social” col vero nome». Per tre anni ha scritto in un blog di cucina poi ha scoperto la «forte capacità comunicativa» di Instagram. «Racconto i libri in modo “pop” con qualcosa da mangiare». Il progetto “Colazioni d’autore” è «la riappropriazione di un momento tanto negletto» (editore Slow Food, sponsor Lavazza). Ventavoli sottolinea l’invenzione di una “forma narrativa”. Francini ricorda di aver studiato all’università il “Satyricon” di Petronio dove «sono descritti piatti incredibili», definisce quel modo di scrivere come «sugoso, pieno. La metafora del cibo è strettamente legata alla vita, è vita. Quando mi succede qualcosa di bello penso subito a festeggiare con qualcosa che mi piace». Petunia Ollister paragona i suoi scatti alle “nature morte”, “still life” in gergo fotografico. Chiara Francini le chiede se le prepara lei le colazioni accostate alle copertine dei libri. Risposta affermativa ma, da quando si è trasferita da Varese a Torino, ammette che «qui è facile trovare sontuose colazioni salate» nei bar, le sue preferite. «Mi sono trovata ad amare quello che mangio, a raccontarlo in modo esteticamente gradevole». Il tempo per catturare l’attenzione di chi naviga è di nove secondi, da qui l’esigenza di un’immagine curatissima, esplicativa. «E’ un modo per cui le persone si riconnettono con la lentezza di leggersi un libro, con il desiderio di evadere, di conoscere, trovare una zona di rifugio».
Ventavoli cita “Country dark” di Chris Offut (Minimum fax, 2018). Francini legge un brano delle vicende di Tucker, ragazzo che ha partecipato alla guerra in Corea. Divenuto una macchina da guerra, torna nel Kentucky e lo si vede mentre si cucina sul fuoco uno scoiattolo con fettine di porri. La tesi di Ventavoli è che il cibo diventi protagonista nella narrativa quando è “eversivo”, difficile da conquistare. Riprende l’atroce cena del conte Ugolino che si ciba della carne dei propri figli (Inferno, canto XXXIII)  e quanto avvenne in concomitanza del disastro aereo sulle Ande (13 ottobre 1972). I sopravvissuti decisero di cibarsi dei cadaveri dei loro compagni morti, sepolti nella neve. Si recupera il sorriso con un brano sul ristoratore tratto da Brillat-Savarin. «Il ristoratore offre al pubblico un pranzo bell’e pronto a prezzo fisso», scandisce nella lettura Chiara Francini. Chi l’ha inventato è «uomo di genio e osservatore profondo». Il ristoratore dev’essere «onesto, ordinato e abile». Si passa a qualche brano tratto da “Colazioni d’autore”. Marcel Proust segna il momento in cui il cibo fa da vettore a un ricordo del passato. Petunia Ollister parla di “comfort food” come rifugio. In Toscana, svela Francini, il “comfort food” è «il pane e olio toscano», oppure «pane, miele e zucchero». Ventavoli ricorda uno dei primi esempi di cuochi nel Decamerone, prontamente l’attrice recupera una battuta tratta dalla novella “Chichibio e la gru” (IV^ novella della VI^ giornata). La figura del ristoratore è «maschile, militaresca, richiede rigore e astuzia». Racconta la Francini che quando le capita di visitare la cucina di un ristorante riscontra «un modus operandi rigido, difficile per le donne».
Altra citazione letteraria è “Il buio oltre la siepe”, la torta di granturco non è altro che la nostra torta margherita. Ma, spiega Petunia, quanto è dolce nel nostro linguaggio culturale, «non è detto che nella cultura di un altro paese non possa accompagnare un altro piatto», magari salato. James Bond, 007, si preparava colazioni fantastiche con la marmellata di arance e il burro salato su grossolane fette di pane. Si legge un brano da un testo di Ian Fleming, “Dalla Russia con amore”. Per la Francini, James Bond è Sean Connery colto in una scena dove «sta per uscire, si gira, stacca un chicco d’uva e se lo mangia». Commenta Ventavoli, «ci si aspetta la battaglia ma la narrazione del cibo crea uno stacco». Un breve cenno su “Le assaggiatrici” di Rossella Postorino, fresco di premio Campiello, una donna , rinchiusa nel bunker, assaggiava il cibo preparato per Hitler, terrorizzato di essere avvelenato. Infine, la pop art, le lattine di pomodoro Campbell di Andy Warhol, poi il pubblico si lancia, famelico, su uno spritz macchiato di caffè e sul gelato al parmigiano di Zanardi, chef presso il ristorante Lavazza, allievo di Ferran Adrià.
Piergiacomo Oderda 
 

Commenti