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Mons. Derio Olivero e Pier Giorgio Frassati

19/06/2019 11:08

di Piergiacomo Oderda 

Nell'aprile del 1990 scrissi per il giornale del movimento in cui prestavo volontariato il mio primo articolo su Pier Giorgio Frassati. Eravamo a ridosso della beatificazione (20 maggio 1990) a cui partecipammo con commozione, grazie all'intuizione di don Mario Operti.
La presentazione di una riedizione delle “Lettere” curata per Effatà da Roberto Falciola mi ha permesso di riaccostarmi a questa figura, con un illuminante contributo di mons. Derio Olivero. L'incontro nella sala biblioteca del Circolo dei Lettori viene introdotto da Alberto Riccadonna, direttore del giornale diocesano torinese “La voce e il tempo”, che si sofferma sui luoghi di Pier Giorgio, «vivendo nella parrocchia di Frassati si vede la casa, il balcone da dove vedeva passare una persona senza niente e scendeva per regalargli le scarpe». Questi poveri si materializzano fino ad intasare l'incrocio tra corso Einaudi e corso Galileo Ferraris in occasione dei funerali, «né la famiglia, né gli amici si rendevano conto che frequentasse così tante persone».
Mons. Olivero contestualizza la pubblicazione del libro a partire dal n. 7 dell'esortazione apostolica “Gaudete et exsultate”, “la santità della porta accanto” o “la classe media della santità”. «La santità non è una questione di pochi eletti ma è alla portata di tutti, per uomini e donne normali». «Ciò di cui abbiamo bisogno è di riscoprire la rilevanza antropologica della fede cristiana. Una questione fondamentale è la mancanza di fiducia». Recupera da Armando Matteo una definizione di “adulto”, «uno che conosce i limiti della vita e ci crede ancora». Richiama il passo evangelico sul diventare come bambini, acquisire la stessa fondamentale fiducia. Nel raffronto con i giovani che «non hanno limiti di stanchezza», si concede una digressione sui mesi estivi che trascorreva lavorando in cascina a vent'anni, «dalle cinque del mattino al tramonto». Dopo una doccia, usciva il sabato sera fino alle due e alle cinque e mezza andava a scalare in montagna. A cinquantotto anni, la percezione del limite è diversa, «hai capito benissimo che la vita non è una passeggiata ma ci credi ancora tutti i giorni». Al contrario, nella società «sale in modo esponenziale la paura, il senso di insicurezza», parole che vengono sillabate dal vescovo di Pinerolo. Occorre avere fiducia nella vita nella quotidianità, definita così da un monaco di Bose: “la realtà come non la vediamo”. Descrive la giornata concitata di chi incastra impegni di lavoro con la famiglia, le bollette da pagare. Se qualcuno poi ti chiede “cosa hai fatto?”, rispondi “niente!”. «Eppure, sono i tre quarti della tua vita!».
Se la necessità è «essere adulti che ci credono alla vita, la fede è la sorgente di questa fiducia. Credo in Dio per riuscire a credere nella vita». Piergiorgio Frassati lo viveva nella concretezza, il vescovo cita alcuni passi delle lettere dove riferimenti quotidiani sono inframmezzati da riferimenti credenti. “Ho incominciato purtroppo a studiare... fra Santhià e Biella c'è un servizio (postale) veramente indecente” (A Carlo Bellingeri, 4-8-1918). Alla messa di Natale, “ho pregato molto il Signore... affinché vi colmasse di benedizioni. Credi Mamma che in questi momenti il mio spirito comunicava intensamente col vostro” (Alla madre, 25-12-1921). «Come viveva la messa?» riflette mons. Olivero; poi cita l'ascesa di Pier Giorgio al Monviso, per la parete Sud (senza corda, 26-7-1923). “Quando si va in montagna bisogna prima aggiustarsi la propria coscienza, perché non si sa mai se si ritorna” (Ad Antonio Severi, 13-8-1923).
Roberto Falciola racconta della sorella Luciana che negli anni seguenti la morte di Pier Giorgio «è andata a caccia di quanto aveva disseminato». L'edizione Effatà aggiunge una ventina di documenti a completare il panorama. Dopo l'edizione del 1950, a cura di Luciana Frassati, sono seguite quella del '75 e quella del '95, caratterizzata dal riordino cronologico (ed. Vita e pensiero) che permette di «seguire l'evoluzione e la crescita di Pier Giorgio. Dal '23 al '25 il suo animo cresce in profondità». Il vice postulatore della causa di beatificazione sostiene che «sarebbe opportuno che si sviluppasse un'opera di vero e proprio studio di chi è stato Frassati». Si è implementato l'indice dei nomi e dei luoghi. Si presenta su “slides” una sorta di antologia delle lettere. Pier Giorgio racconta dei concerti di Londra e Parigi sentiti a casa Luotto “mediante la telefonia senza fili” (A Luciana, 10-4-1925). Falciola mostra l'autografo di un proclama per la compagnia dei “Tipi loschi” dove si firma “Robespierre”. Scrive a Severi, “ogni giorno che passa m'innamoro della montagna”. Conta amici in Austria, Germania anche per l'appartenenza alla Fuci, all'Azione Cattolica. Al discorso di Mussolini pronunciato alla Camera dopo la marcia su Roma, scrive: “tutto il sangue ribolliva nelle mie vene” (Ad Antonio Villari, 19-11-1922). Si prepara all'Anno Santo del '25 leggendo S. Agostino, Papini e S. Tommaso. Studiare viene visto con la metafora del naufrago che lotta disperatamente con i marosi. La mente “inzuppata di quest'arida scienza” trova rifugio nella lettura di S. Paolo. Nelle lettere del febbraio di quell'anno ricorrono alcuni passaggi noti. “Finché la Fede mi darà la forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro” (A Luciana, 14-2-1925); “vivere... senza sostenere in una lotta continua la Verità non è vivere ma vivacchiare” (A Isidoro Bonini, 27-2-1925). Falciola decodifica il biglietto scritto in modo stentato il giorno prima di morire, un biglietto che ancora trasuda di carità. “Ecco le iniezioni di Converso. La polizza è di Sappa. L'ho dimenticato, rinnovala a mio conto”. I nomi sono di due assistiti della Conferenza di San Vincenzo de' Paoli, impegno a cui era talmente legato da scrivere a fine estate in un anno precedente, “mi sono detto fra di me, è ora di intensificare lo studio, sarò morto a tutti tranne che alla Conferenza di San Vincenzo”.
Nel dibattito, Luca Rolandi, ex direttore del giornale diocesano torinese, ricorda l'itinerario organizzato con Torino spiritualità al Pollone per far conoscere i luoghi di Pier Giorgio, «un testimone del Vangelo che ha bisogno di essere conosciuto». Germana Moro, responsabile dell'associazione torinese dedicata al beato, ricorda «quanto Pier Giorgio sia conosciuto in tutto il mondo». Edita un'interessante newsletter al sito (https://associazionepiergiorgiofrassati.wordpress.com).
 Nelle foto, da sinistra, Falciola, Riccadonna e mons. Olivero
Piergiacomo Oderda
 

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