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La stella pinerolese Barbara Bonansea: fantasia, guizzi e scorribande

13/12/2019 18:04

 

di Piergiacomo Oderda

Lucia Caretti sfoglia il libro di Barbara Bonansea, “Il mio calcio libero” (Rizzoli), scritto con Marco Pastonesi, firma de “La Gazzetta dello Sport”. “Il gol è un atto di fede e di speranza”. Legge il brano in cui la calciatrice racconta il momento magico di quando sigla ai mondiali il secondo gol contro l'Australia per poi venire sommersa dagli abbracci delle compagne. All'inizio, la Bonansea è timida, abbozza una mezza risposta. «Doveva andare così, il gol del destino. L'avevamo voluto tanto ed è capitato a me. Non mi piace essere abbracciata ma in quel momento non ho capito più niente. È stato pazzesco!». La giornalista Caretti parla di quella “doppietta” in termini di «sbarco sulla luna del calcio femminile». «Sono stata fortunata», replica Bonansea, «sull'1-0 per loro non ho mai avuto nella testa che potevamo perdere, neanche le mie compagne». Pastonesi racconta il lavoro dietro il libro, «per scrivere di un personaggio è meglio non sapere nulla così studi, ascolti, domandi, ti fai ripetere, controlli, indaghi; un lavoro da storico, detective, confessore, psicanalista». Secondo Lucia Caretti, «il libro ha il ritmo delle sue partite». Il calcio ha una musica, Pastonesi associa alla sua squadra del cuore, il Genoa, la malinconia del blues. «La musica di Bonansea è fantasia, guizzi, scorribande e momenti di pausa. Il libro ha quel ritmo frenetico». Dopo uno stop improvviso, «un'altra fuga, dribbling, tunnel, tiro». Pastonesi ha avuto un aiuto improvviso nell'infortunio di Barbara. «Avevo il terrore di non averla a disposizione tra ritiri, allenamenti, partite, viaggi». Racconta di telefonate di trenta, quaranta minuti, «è istintiva, spontanea, diretta, immediata». Caretti pesca dalla fine del libro la frase: “grazie, Calcio, senza di te non sarei una ragazza libera e felice”. Bonansea confessa di essere stata «una ragazza tanto timida», poi è passata attraverso allenamenti, fatiche, i pregiudizi delle mamme. Quanto all'infortunio, «non è tanto difficile stare fuori, prendo le cose che mi succedono e le accetto». Ma, tornando sul campo, ha capito che «le mancava il respiro, l'aria di casa». Caretti riprende i racconti di Bonansea bambina, quando doveva entrare nello spogliatoio dell'arbitro. Chiede a Pastonesi l'impressione ricevuta dal vedere i «campi sgangherati» degli inizi di Barbara. «E' la storia di sempre», sottolinea il cronista, «in Italia lo sport di base non esiste. Ci sono tanti piccoli, minuscoli miracoli. È stato belle scoprire il suo patrimonio, la famiglia innanzitutto, poi ogni squadra è un'altra famiglia». Barbara Bonansea narra di Giorgio che «ha iniziato prima di me a tirare calci al pallone. È veramente contento di aver avuto una sorella che è arrivata dove poteva arrivare lui». «La mamma non voleva poi è stata lei a venire in spogliatoio con me», il papà l'accompagnava avanti e indietro per allenamenti e partite. Ricorda il primo allenatore che «ha trasmesso un senso di leggerezza». Bonansea: «è stata la mia fortuna vedere il calcio come sport per tutti, faceva giocare tutti perché tutti fossimo felici». La giornalista riprende alcune metafore utilizzate da Barbara sul calcio, “duello, meditazione, sfida, riflessione, guerra, educazione, istruzione, scuola”. Per Bonansea, andare al Brescia è stata una fatica «per essere andata via di casa». «Le compagne di squadra sono le tue amiche», suggerisce Caretti. «Passiamo tutti i giorni insieme», conferma la calciatrice, «andiamo anche fuori la sera, non ci basta mai!». «Si diventa amiche, ti devi denudare nel calcio, nel campo sei te stessa, è difficile coprirsi, scopri tutti i lati di una persona in un campo di calcio». Caretti si avvicina alla prima fila dove è seduta Martina Rosucci, da sempre amica della Bonansea, le fa ricordare le compagne che al “bivio” dei sedici, diciotto anni hanno smesso l'attività agonistica. «Siamo state fortunate per avere una famiglia che ci ha appoggiato. I genitori sono quelli che decidono quando sei bambino». Caretti: «quanto è importante avere qualcuno con cui fare il cammino?». Bonansea si sente di avere un appoggio nei momenti belli e brutti, la tristezza si smaltisce più facilmente se hai qualcuno al tuo fianco.

Pastonesi tesse le lodi del calcio femminile, le atlete «sono semplici, genuine, sorridono, si abbracciano, è un calcio che ci manca, il calcio vero». Scatta l'applauso della platea del Circolo dei lettori di Torino. Fa un raffronto col rugby, «uno sport di combattimento, di contatto». Dopo 180 anni di rugby al maschile, quando «ha cominciato ad essere giocato dalle donne è sembrata una blasfemia». Dopo aver visto una partita di rugby femminile in Irlanda si è ricreduto, «mi sono emozionato, un rugby non muscoloso, non “a sportellate”», bensì «un rugby tecnico, vecchia maniera, con le finte, i cambi di velocità». Caretti ringrazia Pastonesi e Bonansea per essere riusciti a «semplificare il gergo calcistico per renderlo comprensibile nel tentativo di conquistare un nuovo pubblico». Pastonesi dice di aver cercato di conferire «poesia, sentimenti ai gesti». Per Bonansea, il gol è «il fine dell'azione, la totalità del calcio, quando lo fai vedi ripagate le fatiche. Quando c'è il gol, non capisci più niente, mi faccio abbracciare, se non è felicità quella!». Non parlate con Barbara di rigori, «li ho sbagliati tutti, non fatelo tirare a me! Quando vai lì la porta si rimpicciolisce, mi dico “tanto me lo para!” o “lo tiro fuori!”». La caratteristica di Bonansea che Pastonesi predilige è l'imprevedibilità, «non ci si può difendere se non sai cosa fa». Paragona la sua fantasia al buon attacco di un pezzo giornalistico, così come suggeriva Beppe Viola, «uno avanti al gruppo». «Come comincia un pezzo ti dà la misura della fantasia di uno scrittore». Caretti punta l'attenzione sul quotidiano, come «sdraiarsi sul divano». Bonansea svela di essere una «pantofolaia, amo rilassarmi sul divano guardando alla TV le partite di calcio».

 

Piergiacomo Oderda

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