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“Ti ho preso per mano. Amare vuol dire anche lasciar andare” (Riccardo Callori, Edizioni Mille)

28/10/2023 15:03

La copertina realizzata da Fabio Montesanti mostra tra colori vivaci che lasciano presumere l’accesso ad un parco un adulto, il fratello maggiore, e un ragazzo. Questi cammina da solo, il fratello volge lo sguardo su di lui, un passo indietro. La delicatezza dell’immagine ritrae un processo di accompagnamento in cui l’adulto vigila sull’adolescente, pur restando quel tanto indietro per renderlo capace di autonomia. Il processo psicologico alla base del testo “Ti ho preso per mano. Amare vuol dire anche lasciar andare” (Riccardo Callori, Edizioni Mille) è tutto in quel volto girato dal fratello, in quel camminare insieme di tutta una vita. Il primario ospedaliero nonché docente in Facoltà di Medicina che si cela dietro lo pseudonimo di Riccardo Callori racconta la sua vita in un testo corposo ma avvincente, gli ultimi capitoli si leggono tutti d’un fiato per le continue sorprese. La dedica al fratello, Giorgio, anticipa il vero protagonista di cui l’autore ha fortemente desiderato la nascita anche scontrandosi con i genitori stessi. Segue il fratello proprio come un padre negli studi e nell’avvio della vita professionale. E’ bello il passaggio di quando stanno andando a Milano “a cercar casa”: «Pensavo a quel cosino piccolo piccolo che stava crescendo nella pancia della mamma e adesso quel cosino piccolo piccolo stava guidando con i capelli al vento e parla di palazzi, di ponti, di ville. Potevo essere contento, qualcosa di buono l’avevo fatto anch’io: avevo regalato al mondo una persona con una bella testa, un gran cuore e la capacità di stare bene con tutti e far stare bene tutti». Anche quando Giorgio, diventato architetto si trasferisce a Boston, l’autore non manca tutti i giorni di accendere il pc come prima operazione della giornata, nella speranza di trovare una sua mail. La vicenda familiare scorre in un tessuto contrassegnato da colleghi che inseguono il successo personale. Si badi al titolo del cap. 4, “Riccardo va alla guerra”, poco dopo si legge «la competizione è guerra senza esclusione di colpi» e recupera anche un detto della nonna “troppa confidenza toglie la riverenza”. A questo sistema poco nobile contrappone la cura del possibile erede della sua prestigiosa reputazione. La fraternità vissuta con Giorgio è diffusiva e si trasforma in amore di padre anche per Salvo che teneramente abbraccia solo a conclusione della festa di matrimonio: «Mi abbracciò forte. Dopo un secondo di sorpresa, gli restituii l’abbraccio, forte. Era il suggello di tutto quello che avevamo fatto insieme». L’autore rivela una capacità matura nell’esplorazione psicologica dei personaggi, talvolta sin dalla descrizione particolareggiata del dettaglio fisico. Sono toccanti le riflessioni che appaiono in brani segnati a livello tipografico dal rientro dei margini. Il sottotitolo “Amare vuol dire anche lasciarsi andare” viene ripreso al termine dell’ennesimo rito col caffè liofilizzato che scandisce momenti di dialogo o di silenzio parlante fra i due fratelli, «lasciar andare è la prova più dura da affrontare quando si ama qualcuno». Non mancano sottolineature rilevanti sul lavoro dei medici e sulla laboriosità richiesta: «…oltre al lavoro in corsia, al coordinamento del laboratorio, all’aggiornamento, all’attività privata… aumentai anche il numero dei lavori da pubblicare». Gli anni dell’infanzia di Giorgio sono riletti con una metafora illuminante, «il bambino nei primi cinque anni di vita, è come la cera-pongo, quando interagisci con lui, lasci delle impronte indelebili che si porterà dietro per tutta la vita». Si cita la canzone “Valzer per un amore” di Fabrizio De André, “vola il tempo lo sai che vola e va” (1969, Nuvole barocche). Era un invito a non rimandare l’istante dell’amore, a non restare prigionieri del rimpianto. Tutto il libro è un valzer d’amore che si incardina in quel legame tra fratelli, «una forma di amore bellissimo e complicato».

 

Piergiacomo Oderda

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