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Daniele Vallet: “Metafora. Piccola Odissea moderna verso Itaca”. Viaggiare in bici solidale

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di Piergiacomo Oderda

Luca Casali, giornalista sportivo, sceglie il genere dell’intervista lunga per fare in modo che Daniele Vallet scopra le sue carte di fronte al pubblico di Cogne (AO). Dopo “Fernanda e io” di cui si è occupato anche Voce pinerolese (https://www.vocepinerolese.it/articoli/2020-08-09/bicicletta-solidale-con-danile-vallet-18661), Vallet ha pubblicato un nuovo libro, “Metafora. Piccola Odissea moderna verso Itaca” (2020, Tipografia valdostana Musumeci Editore) e proprio dalla definizione di “metafora” parte l’intervista. In greco moderno significa «trasportare qualcosa di fisico da una parte all’altra», per Vallet «viaggiare in bici è la metafora della vita». Fernanda è il nome della bici che ha utilizzato per questo viaggio in Grecia nonché per la promozione di una mobilità sostenibile, «abbandonare l’auto e utilizzare la bici come mezzo sostenibile». “Un paese è sviluppato non quando/anche i poveri possiedono un’auto/ma quando anche i ricchi usano/mezzi pubblici e biciclette”. La citazione di Gustavo Petra, sindaco di Bogotà, introduce l’epilogo del libro dove l’autore riprende il progetto “Boudza-te” (“muoviti” in patois valdostano). Un esempio della comprensione della potenzialità della bici avvenuta nel “lockdown”, secondo Casali, è la comparsa dei tondi con la scritta “30”, ad Aosta nel rispetto dei ciclisti. Vallet sostiene che «il cambio di mentalità debba passare dall’utilizzo dei mezzi privati», ricorda «strade intasate, parcheggi pieni», il caos all’uscita di scuola. «Le persone faticano a prendere i mezzi pubblici, lo vivono come un fatto umiliante». Quando ha iniziato dieci anni fa ad andare in bici a lavorare, alcuni pensavano che avesse bevuto e gli avessero ritirato la patente! Si arriva al  lavoro già riscaldati, con una bella sensazione fisica, «si risparmia e si dà una mano a livello ambientale». Casali sottolinea il passaggio dai Balcani, «è una terra che non conosciamo», dice Vallet citando “Maschere per un massacro” di Paolo Rumiz (Feltrinelli, 2013). Tutti ci ricordiamo dov’eravamo quando sono cadute le Torri Gemelle mentre non ci si ricorda di quando, a Srebrenica, in Bosnia, nella settimana a partire dal 15 luglio 1995, sono stati uccisi 8732 civili. Il passaggio nei Balcani ha rappresentato «l’opportunità di andare indietro nel tempo e nello spazio per capire ciò che è accaduto vicino a noi». Vallet è stato ospitato grazie alle app “couchsurfing” e “warmshowers” da croati, bosniaci, serbi, kosovari, «ognuno raccontava un pezzo di storia» e «di famiglia in famiglia il quadro diveniva sempre più esaustivo». A Sarajevo è stato ospitato da Dado e Gegia che hanno vissuto per quattro anni a Valpelline (AO), come rifugiati di guerra. Hanno mostrato a Vallet da dove sparassero i cecchini. L’esercito serbo era comandato da Ratki Mladić, “tristemente conosciuto come il macellaio dei Balcani e ora in carcere a L’Aia per scontare la sua condanna a vita per crimini contro l’umanità”. Ospitato da un ragazzo serbo, Vallet ha sentito il suo pregiudizio nato nella mente disintegrarsi nella realtà. Casali riprende l’episodio dell’incontro con Irvin a Srebrenica per rimarcare i sentimenti contrastanti nati in un viaggio che assume l’aspetto di «un viaggio dentro di noi». La partenza da Aosta avviene in treno per poter incontrare il vicesindaco di Valdagno nel vicentino, Anna Tessaro, che ha aderito al progetto di mobilità sostenibile. Vallet illustra il progetto “Boudza-te” messo «in campo per stimolare le persone a utilizzare la bici». Dopo l’adesione di Charvensod dove Vallet abita, Gressan e Jovençan, sono sette ora i comuni della “plaine” di Aosta ad aver aderito. Il comune aiuta chi va a lavorare in bici con incentivi economici dati sotto forma di buoni «spendibili sul territorio, in aziende agricole, in piccole realtà cittadine, per sviluppare il territorio». Vallet ha riscosso successo, è stato chiamato a Roma al Ministero dell’Ambiente ed è intervenuto ad una trasmissione su Rai3, “Geos”. Inforcata la bici, da Valdagno si sposta ad Asiago per conoscere Gianbattista Rigoni Stern, “il figlio di Mario, il famoso cantore delle umani vicissitudini durante la seconda guerra mondiale”. Gianbattista aveva presentato ad Aosta il libro “Ti ho sconfitto felce aquilina” (2019, Comunica) in cui narra la storia di un progetto di sviluppo agrario che sta portando avanti a Srebrenica. Vallet gli manda un messaggio quando si trova a dieci minuti da casa sua, Gianbattista butta la pasta e così trascorre la prima serata arricchendo quella competenza che ha maturato guardando film e leggendo libri sulla «situazione ingarbugliata» dei Balcani. A Caporetto in Slovenia (Kobarid) visita il museo, i memoriali dei caduti italiani e austriaci, ripercorre il ritiro sul Piave dell’esercito italiano, “quarantamila soldati morirono nella sola giornata del 24 ottobre 1917”. “Il tempo di appoggiare la bicicletta contro un albero e sono in acqua senza nemmeno togliermi i pantaloni da ciclista” è invece l’esperienza, al Lago di Bled, definita come Cogne “perla delle Alpi”. Casali spiega le “app” che permettono di contattare persone pronte ad ospitare i cicloturisti, «lo scambio è il “leit-motiv” del libro». Vallet conferma: «l’incontro con l’altro è la parte più bella», anche se dopo aver pedalato per oltre un centinaio di chilometri avrebbe voglia solo più di una doccia e di andare a riposare. In Kosovo, viene ospitato da Carlos, un diplomatico americano. E’ impegnato in un’altra riunione, per cui affida a Vallet il compito di preparare la cena. Casali pone la questione sulla fiducia, «la maniera migliore per vedere se ci si può fidare è dare fiducia», sentenzia l’autore. Racconta di come Irvin di Srebrenica, profugo in Italia dove ha studiato filosofia, sia tornato in patria per fondare l’associazione “Srebrenica city of hope” per far vedere la città sotto un’ottica differente. Srebrenica rappresenta il fallimento della comunità internazionale, l’esercito olandese non è riuscito a fermare la mattanza, a Potocari ha visitato le steli bianche che ricordano i civili deceduti nel ’95. Quando Vallet arriva in Grecia è il momento di «scaricare le sacche di tensione» accumulate. Per Itaca rilegge la poesia di Kavafis inserita all’inizio del testo, è il motivo che gli ha permesso di mettersi in viaggio e arrivare molto lontano. Racconta ancora dell’apribottiglie artigianale che ha donato in segno di riconoscenza a chi lo ospitava, un pezzo di legno con una vite apricapsule dai colori rosso e nero di “Aosta Valley”. Il ricavato della vendita dei libri permette di finanziare l’acquisto di quarantacinque bici per una Ong che lavora in Congo. Vorrebbe predisporre una bici più robusta di Fernanda per portarla lui stesso in Congo. Ha trovato la disponibilità di un negozio di Forlì dove si è servito Jovanotti per il viaggio in Patagonia. Va sottolineato il richiamo di Vallet sulla filosofia indiana della “Non dualità”. Il racconto della gocciolina che si stacca dalla foglia per perdere la sua identità nell’oceano, consapevole che “non è mai stata altro che oceano” richiama un concetto ricordato in un articolo apparso su Voce pinerolese in cui si ricordava Raimon Panikkar (https://www.vocepinerolese.it/articoli/2018-11-22/don-ermis-segatti-alla-consolata-dialogo-sulla-figura-raimon-panikkar-15515). Il dialogo può partire anche da questa dimensione interiore.

 

Piergiacomo Oderda

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